Pio d'Emilia
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In Giappone gli straordinari si fanno ma non si pagano

In Giappone gli straordinari si fanno ma non si pagano
di Pio d'Emilia
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Lunedì 24 Gennaio 2022, 00:05

«L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro». Così recita l’art. 1 della nostra Costituzione. Per trovare la parola lavoro nella Costituzione giapponese, bisogna scorrerla fino all’art 27: «Tutte la persone hanno il diritto ed il dovere di lavorare». E i giapponesi lavorano, eccome. Anche troppo.


Tant’è che fin dagli anni ’80, quando il Paese era in corsia di sorpasso e stava superando una ad una tutte le potenze industriali europee, si cominciò a parlare del karoshi, la morte per superlavoro. Orari e ritmi pazzeschi causavano ad operai, impiegati e manager morti improvvise, dovute allo stress. Ci vollero anni e anni prima che i tribunali cominciassero a riconoscere il fenomeno e riconoscere seri indennizzi alle famiglie.

Nel frattempo, il governo ha approvato numerose leggi che hanno adeguato il Giappone agli standard internazionali imposti ai suoi membri dall’Ilo, l’agenzia internazionale Onu per il Lavoro. In particolare, per quanto riguarda gli straordinari, l’attuale legislazione impone un limite massimo di 15 ore settimanali, 45 al mese, 360 l’anno. La legge stabilisce inoltre che gli straordinari non possono essere imposti, che debbono essere sempre pagati e con una maggiorazione (che varia a seconda del settore e della fascia oraria) rispetto alla retribuzione normale. Questo è quello che dice la legge. Nella realtà, la situazione è molto diversa. E in certe categorie, è decisamente drammatica. E non parliamo del settore privato, dove sfruttamento e condizioni di lavoro proibitive sono tornate ad essere la norma – cancellando anni di conquiste sindacali - soprattutto ora che oltre il 40% della forza lavoro ha un contratto a tempo determinato (negli anni ’80 erano meno del 20%), ma del settore pubblico, quello che dovrebbe essere più attento, e “controllato”, nell’applicare le leggi. 


La rivista “Josei Seven” recentemente ha pubblicato un sondaggio tra i docenti della scuola d’obbligo: elementari, medie e superiori. Con risultati sorprendenti quanto inquietanti. Oltre l’80% degli insegnanti della scuole elementari, ad esempio, dichiarano di accumulare circa 90 ore di straordinari al mese, il doppio di quanto consentito dalla legge e dieci ore oltre la cosiddetta “karoshi line” (80 ore settimanali), limite oltre il quale, secondo le linee guida approvate dai sindacati e da numerose associazioni di medici, la propria vita è a rischio: l’infarto, o altre patologie cardiocircolatorie possono arrivare in qualsiasi momento. Ad aggravare la situazione, il fatto che solo una minima parte di queste ore vengono “segnate” e dunque pagate: meno del 10%. 


Certo 90 ore di straordinari al mese non sono nulla rispetto alle 327 (4 volte la cosiddetta “karoshi line”) accumulate da un infermiere “part time” di Nagoya, che alla fine s’è dovuto anche licenziare per curarsi.

Il caso è finito sui giornali qualche mese fa e sembra che su pressione della famiglia l’infermiere abbia deciso di ricorrere in tribunale. Una scelta un tempo impensabile, socialmente riprorevole e che quasi sempre finiva con un rigetto del ricorso o con la liquidazione di risarcimenti irrisori, ma che ora sembra rivelarsi sempre più efficace e positiva per i lavoratori. Ma in questo caso si trattava di personale sanitario, settore che anche qui, come nel reso del mondo, è sotto stress per l’emergenza pandemica. 


Nel caso degli insegnanti invece la pandemia c’entra poco. La situazione è infatti endemica e nasce dal fatto che oltre all’attività didattica vera e propria, ci sono tutta una serie di obblighi: rapporti con i genitori, redazione di relazioni dettagliate sull’andamento delle classi e lo stato di avanzamento dei programmi. Le scuole giapponesi inoltre non prevedono personale ausiliario - tranne che per l’amministrazione e la contabilità. Questo significa che gli insegnanti ( e talvolta gli stessi alunni, ma su questo aspetto c’è chi sostiene che il sistema abbia un certo valore “educativo”) debbono anche occuparsi della pulizia delle aule, dei servizi, e dare una mano nella mensa, quando c’è. Il che riduce i loro tempi di “pausa”, fino ad azzerarli. In media, gli insegnanti sostengono di avere meno di 15 minuti al giorno a disposizione. In media.

Il che significa che a fronte di qualche “privilegiato” che magari può contare sui 45 minuti previsti dalla legge, molti non hanno proprio il tempo fisico per fermarsi. La stessa rivista pubblica la storia di una docente che racconta di prepararsi ogni mattina, a casa, con gli avanzi della colazione, il cosiddetto “bento”, la famosa scatoletta di lacca (o plastica) nella quale moltissimi giapponesi infilano un po’ di tutto, per consumarlo sul posto di lavoro, ma che quasi sempre finisce per riportarselo a casa, la sera: «Continuo a ripetermi: perché lo faccio, tanto vale fare una buona colazione e poi prepararmi la cena. Ma la sera sono sempre così stanca che preferisco consumare quello che preparo la mattina, e addormentarmi davanti alla televisione». Se questa è vita. 

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