Pio d Emilia
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Giappone, il culto dei “bambini d’acqua”

di Pio d’Emilia
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Martedì 6 Ottobre 2020, 01:06
Chi è stato in Giappone avrà sicuramente notato, all’interno di alcuni templi, delle zone popolate da piccole statuette in fila, tutte con un grembiulino ed un copricapo rosso. Rappresentano (ma solo simbolicamemente, i corpi non vi sono sepolti) i mizunoko, i “bambini d’acqua”, poetico eufemismo per indicare i bambini mai nati (o nati morti). In pratica, i feti. Il tutto, come si dice, alla luce del sole. Un contesto completamente diverso da quello di recente “scoperto” a Roma, e che tante polemiche sta (giustamente) suscitando. 

La zona riservata ai mizunoko, che in alcuni templi di Kyoto e Kamakura comprende migliaia di statuette, rappresenta un business non indifferente per i templi (le statuette sono in vendita e si paga una sorta di tassa per la loro manutenzione), in genere è la più “colorata” e vivace, allietata da girandole multicolori che con il loro continuo, allegro fruscio cercano di esorcizzare il dramma che rappresentano e la sofferenza che comunque ha provocato e continua a provocare in chi ha voluto, o dovuto, compiere certe scelte. 

L’aborto in Giappone non solo è legale dal lontano 1949 (è stato uno dei primi Paesi a legalizzarlo) ma è di gran lunga lo strumento più diffuso di regolamentazione delle nascite, grazie, o meglio sarebbe dire a causa, della relativa facilità con cui viene praticato e alla efficace campagna di dissuasione che la potente lobby dei medici da sempre porta avanti nei confronti della pillola, la cui vendita, approvata solo dal 1999 è tutt’ora sottoposta a varie limitazioni ed è fortemente sconsigliata (per non parlare della pillola del giorno dopo, tutt’ora non disponibile sul mercato). 

In questo contesto storico, culturale e religioso profondamente diverso, i mizunoko hanno una loro precisa “collocazione”. Sia ontologica - finiscono, si fa per dire, “parcheggiati” sulle rive del Sai no Kawara, il fiume degli inferi, che demoni crudeli e dispettosi impediscono loro di attraversare, costringendoli ad errare in eterno senza possibilità di reincarnarsi - che sociale. In varie occasioni, in particolare a metà agosto, quando ricorre la festività dell’O-bon, quando i giapponesi commemorano i loro defunti, i genitori, per la maggior parte le mamme, vanno a trovarli, portando piccoli indumenti, giocattoli, cibo. Spesso portano con loro gli altri bambini, fratelli e sorelle che invece sono nati, e li presentano l’un l’altro, raccontando, magari sorvolando su alcuni particolari, il contesto in cui si sono svolti certi fatti. Alla fine della visita, ci si affida alla generosità e compassione di Jizo, il bodhisattva (sorta di “santo” nella religione buddhista) che pur avendo raggiunto l’illuminazione ha rinunciato al nirvana per restare sulla Terra e aiutare chi soffre. Nella fattispecie, i bambini mai nati, o nati morti. Le statuette che lo ritraggono con il tradizionale mani (un gioiello miracoloso) ed un bastone si trovano un po’ dappertutto in Giappone, anche fuori dai cimiteri, e sono considerate di buon auspicio. 
Attenzione, questa dei mizunoko non è, come qualcuno vuol far credere (a volte persino le guide sbagliano) una antica tradizione. Fino all’epoca Tokugawa (fine ‘800) in Giappone non esistevano forme di culto per le anime dei bambini morti, e l’infanticidio – specie nelle zone rurali e più povere – era una pratica diffusa. Solo nel 1907, con l’entrata in vigore del primo codice penale, aborto e infanticidio vennero espressamente definiti reati e come tali puniti dalla legge. E di fatto quegli articoli sono ancora in vigore, anche se nel 1949, con almeno dieci anni di anticipo rispetto a molti Paesi occidentali, il Giappone ha approvato una legge che di fatto liberalizza l’aborto “terapeutico” fino alla 12ma settimana (e talvolta anche oltre) ogni qualvolta sia in gioco la “salute” della donna: sia essa fisica, mentale, che economica. Praticamente, sempre. Unica – ma solo apparente – difficoltà: è necessario sempre il consenso del padre, e non solo, come avviene in molti altri Paesi, in caso di minorenni. Ma i controlli sono praticamente inesistenti: basta che la donna si presenti in clinica o negli ambulatori accompagnata da un uomo (anche un semplice conoscente) e che questo dichiari di essere il padre che la procedura possa essere eseguita. Nessuno controlla. In Giappone, nonostante il numero sia pressoché dimezzato rispetto a venti anni fa, si praticano ufficialmente circa 160 mila aborti l’anno in percentuale più o meno come in Italia (circa 80 mila, ma con metà della popolazione), ma in realtà si ritiene siano molti di più perché molti ambulatori non dichiarano questo tipo di interventi sia per motivi fiscali sia per garantire assoluta privacy alle minorenni, categoria tra le quali l’aborto è purtroppo particolarmente diffuso e addirittura “consigliato”, rispetto alla pillola, difficilmente prescrivibile e costosa, o ai dispositivi intrauterini, praticamente sconosciuti.
 
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