Pio d'Emilia
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Il Giappone si spopola, nei villaggi i pupazzi anti-solitudine

Il Giappone si spopola, nei villaggi i pupazzi anti-solitudine
di Pio d'Emilia
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Lunedì 25 Luglio 2022, 03:03 - Ultimo aggiornamento: 22:50

Addentrandosi nella Valle di Iya, nell’isola centrale di Shikoku, una delle zone più selvagge e inaccessibili del Giappone, si arriva al villaggio di Nagoro. Quando ci sono stato – capitatoci quasi per caso, avevo iniziato il famoso “henro”, uno dei più famosi e faticosi “cammini” del mondo (ci sono ben 88 templi da raggiungere, quasi tutti appollaiati in cima a impervie salite o lunghe scalinate, per un totale di 1200 km) ma mi ero subito perso, e ne avevo approfittato per abbandonare il faticoso pellegrinaggio – mi dissero che c’erano circa 300 “abitanti”. 
Una quarantina di persone – età media 65 anni - e 250 spaventapasseri. In giapponese si chiamano “kakashi” e non hanno nulla che vedere con quelli che immaginiamo piazzati nei campi, col cappellaccio in testa, per tener lontani gli uccelli. 


I “kakashi” di Nagoro sono bellissimi pupazzi di pezza, vere e proprie opere d’arte create da una vecchia signora, Tsukimi Ayano. Sono loro, i “kakashi”, che ti accolgono all’entrata del paese, davanti a bar e ristoranti oramai chiusi da anni, seduti sulle panchine in attesa di autobus che non passano più. «Ho cominciato per caso, per passare il tempo quando anche l’ultimo dei miei figli se ne è andato a Tokyo, in cerca di lavoro – mi diceva la signora Ayano – ma poi è diventata una missione: presto in questo villaggio non ci sarà più alcuna vita umana, ma voglio che quei pochi che ancora ci passeranno, magari come lei, per caso, possano vedere com’era la vita un tempo, con le bancarelle dove si vendevano i prodotti dei nostri campi e i bambini che giocavano in strada”. 


Era il 2005, 17 anni fa. Oggi la signora Ayano è ancora in vita e continua a produrre le sue bambole di pezza, ma nel frattempo la popolazione è scesa ulteriormente: gli esseri viventi sono scesi a 27, mentre le sue bambole sono oramai oltre 400. Qualcuno pensa che quello che è successo al villaggio di Nagoro, e che sta probabilmente succedendo in molte altre zone rurali del Paese, possa presto riguardare l’intero Giappone.
«Il Giappone è un Paese in via di estinzione – aveva twittato, lo scorso maggio, l’irrefrenabile boss della Tesla, Elon Musk – se non si inventeranno qualcosa per ristabilire il giusto equilibrio tra numero di nascite e di morti purtroppo sparirà». Musk non è certo uno yamatologo, un “esperto” del Giappone. Ma quello che dice, scrive o “cinguetta” fa notizia. Molto più degli studi, dei moniti e campanelli d’allarme che da anni si susseguono, ma ai quali nessuno sembra dare la necessaria attenzione.


Sono oramai oltre dieci anni che il saldo demografico del Giappone è negativo: l’anno scorso le nascite sono state 811.604 contro un milione e 450 mila decessi. Per la prima volta il “deficit” ha superato quota 600 mila. Una tendenza destinata ad aumentare, visto che anche i matrimoni continuano a calare: appena 515 mila coppie hanno deciso di sposarsi, nel 2021, quasi il 5% meno dell’anno precedente.

Visto il numero pressochè irrilevante, statisticamente, di figli nati fuori da un matrimonio, è lecito attendersi che questo preoccupante saldo negativo continui ad aumentare. 


A meno che – ma non sembrano esserci proposte concrete, al momento, dopo le vaghe promesse fatte a suo tempo dall’ex premier Shinzo Abe sull’aumento degli asili nido e di altre misure che consentano alle donne di meglio coniugare il ruolo di madri e lavoratrici – anche il Giappone non decida di seguire l’esempio di molti Stati europei, approvando incentivi, bonus e “sconti fiscali” alle coppie che decidono di fare più figli.


Una tendenza che il settimanale Shukan Shincho definisce “zetsuboteki” (senza speranza, irreversibile) e dalle conseguenze sociali drammatiche: «Nel giro di una ventina di anni verranno a mancare almeno 2 milioni di addetti all’assistenza degli anziani. Per riempire questo buco, metà dei laureati dovrebbero esseri assunti dal settore. E siccome questo non è possibile, dovremo scegliere tra tagliare i servizi sociali proprio nel momento in cui la società ne avrà più bisogno o deciderci ad aprire finalmente le frontiere e utilizzare i lavoratori stranieri». 
Ma ammesso e non concesso che il governo giapponese scelga questa strada (al momento improbabile) bisognerà vedere se ci sarà – come potenzialmente oggi ci sarebbe – abbastanza offerta. «Il Giappone sta diventando sempre più povero, lo yen è sempre più debole e la nostra società poco ricettiva nei confronti degli stranieri: se e quando decideremo di spalancare le frontiere potrebbe essere troppo tardi», sostiene Masahiro Yamada, docente di Sociologia presso la Chuo University di Tokyo. 


Il progressivo invecchiamento della società, e la crisi dei valori tradizionali in virtù dei quali erano figli e nipoti ad occuparsi degli anziani, oggi spesso “parcheggiati” nelle strutture pubbliche o private o semplicemente abbandonati al loro destino (il triste fenomeno delle “kodokushi”, le “morti in solitudine”, singoli o coppie di anziani che si lasciano morire di fame nei loro appartamenti, è in costante aumento, soprattutto nelle grandi città) rischia di esplodere nei prossimi anni, quando saranno i “baby boomers”, i nati negli anni del boom economico, subito dopo la guerra, a premere per un posto in ospedale o in una casa di riposo. Qualcuno ha calcolato che saranno oltre 4 milioni le persone a cercare un letto e probabilmente a non trovarlo.


«In questo desolante scenario – conclude la citata rivista – va rilevato che in occasione delle ultime elezioni nessun partito, né al governo né all’opposizione, ha ritenuto di affrontare il tema e proporre delle soluzioni. La deriva continua».

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