Paolo Balduzzi
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Ricatti energetici/ Gli errori del passato che la politica deve evitare

di Paolo Balduzzi
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Sabato 3 Settembre 2022, 00:37 - Ultimo aggiornamento: 00:52

Ci sono tanti modi per fare degli errori, in politica. Il problema è che, nella quasi totalità dei casi, questi errori diventano evidenti dopo anni, quando i danni provocati sono ormai irreparabili e le correzioni sono impossibili da attuare. Se guardiamo agli anni ’90 del secolo scorso, insieme a scelte felici e lungimiranti (su tutte, la nascita dell’Unione monetaria europea), è dalla Russia che arrivano due tra i più grandi fallimenti della politica europea (e probabilmente mondiale) nell’ultimo mezzo secolo. La scomparsa pochi giorni fa di Mikhail Gorbaciov e le parole con cui Romano Prodi lo ha ricordato sul “Messaggero” ci ricordano il primo errore: Europa e Stati uniti lo lasciarono solo, proprio nel momento in cui, per realizzare le sue difficili riforme economiche, avrebbe avuto bisogno di sostegno internazionale. Anche solo per aiutarlo a capire che potevano essere sbagliate.

Nel dicembre 1991, pochi mesi dopo il tentativo fallito di golpe e la presa di potere di Boris Eltsin, Gorbaciov si dimise e la sua parabola politica, durata soli sei anni, si concluse, almeno internamente, con un fallimento.
Parallelamente, le cronache degli ultimi mesi sollevano in maniera evidente il secondo grosso errore della politica europea: l’aver dato al contrario eccessivo credito a Vladimir Putin. L’attuale presidente russo è al potere dall’8 agosto 1999, alternando, di fatto a suo piacimento, le cariche di presidente e di primo ministro della federazione russa. Forte di un potere ininterrotto oramai da oltre vent’anni, Putin ha saputo ritagliare per il suo Paese un ruolo principale nei destini europei. In particolare, nemmeno a farlo apposta, con Italia e Germania, due tra i grandi Stati europei più dipendenti dalle materie prime energetiche russe.

Certo, è molto facile giudicare oggi questi errori alla luce della storia recente. Ma l’intento di questa riflessione non è certo quello di puntare il dito verso il passato; al contrario, è quello di provare a evitare che questo accada ancora in futuro e che le conseguenze di quelle scelte sbagliate si ripercuotano ancora per troppi anni sui destini dei nostri Paesi e sulle nostre vite. Il tema energetico può essere nuovo per chi, da semplice e onesto cittadino, si limita a pagare le bollette quando le riceve. Già chi si informa minimamente sa benissimo che da diversi anni le riserve delle fonti energetiche non rinnovabili si stanno esaurendo e che il loro effetto sul clima è incisivo. Chi fa politica, al contrario, non ha scusanti di sorta. 

Non si può governare un Paese senza avere una strategia energetica di lungo periodo. Il nostro umile suggerimento, non solo per chi è in carica ma soprattutto per chi sta girando il Paese in campagna elettorale, è di seguire due direttrici fondamentali. Da un lato, sotto il vincolo delle proprie risorse naturali e della necessità di preservare clima e ambiente, sfruttare al massimo le ricchezze nazionali: gas, per chi ne è dotato, sole, vento, e, perché no, pure la scienza. Se tecnologie inquinanti possono diventare pulite o altre considerate pericolose, come il nucleare, comportare rischi sempre più bassi, va benissimo fidarsi della ricerca più all’avanguardia.

Il tutto, in un contesto comunitario di scambio reciproco delle eventuali eccedenze, di scambi regolati o di approvvigionamento coordinato da Paesi esterni.

Così come l’Unione Europea ha condiviso la politica monetaria e così come ha di fatto armonizzato anche quella fiscale, perlomeno rispetto alla gestione dei debiti pubblici, altrettanto gli Stati membri dovrebbero sforzarsi per un fronte comune energetico. Dall’altro lato, e a proposito del rapporto tra Unione Europea e Paesi esterni, vanno sviluppate relazioni economiche, soprattutto quelle più soggette a creare legami di dipendenza reciproca, con nazioni e leader che diano maggiori garanzie di democraticità. 
Per dirla con un motto: fidarsi di più di un Gorbaciov, che in pochi anni di potere ha disinnescato una minaccia nucleare, che di un Putin, che anno dopo anno (e ormai sono ventitré) ha legato i destini energetici dei Paesi europei agli obiettivi della Russia.

Nella teoria dell’impresa, il concetto di “hold up” spiega come mai, in una relazione commerciale, un investimento troppo specifico indebolisca contrattualmente un’impresa nei confronti di un particolare fornitore. Forse la politica commerciale internazionale non funziona esattamente allo stesso modo. Ma il potere di ricatto della Russia, la timidezza e l’incertezza delle cancellerie europee e l’angoscia con cui tutti, cittadini e soprattutto imprese, guardiamo al prossimo autunno sembrano confermare che la dipendenza dal gas russo ha indebolito i Paesi europei. Da un certo punto di vista, si potrebbe perfino obiettare che questa dipendenza è benedetta: se non ci fosse stata, forse oggi pochi si curerebbero della tragedia umanitaria che si sta consumando da oltre sei mesi in Ucraina. Ma a una riflessione più attenta diventa chiaro che, se le condizioni di partenza fossero state diverse e se i Paesi europei non fossero stati così dipendenti da Mosca, la Russia non avrebbe mai avuto il coraggio di invadere l’Ucraina in prima battuta.

Quanto ne è davvero consapevole il legislatore? Emerge, per essere più espliciti, una strategia seria e di lungo periodo, dai tavoli del governo o dai programmi elettorali? La risposta sembra negativa, anche se l’augurio è sempre quello di sbagliarsi. Ridurre il riscaldamento negli edifici pubblici però non è un programma innovativo; è semplicemente una ricetta da semplice revisione della spesa («evitare gli sprechi»). Si tratta al più di un tentativo timido, forse inattuabile in quanto non verificabile. Per quanto sia nell’interesse di tutti quello di ottenere dei risparmi sul lato della domanda, come piace dire agli economisti, è sul lato dell’offerta che si stabilisce se una strategia sarà vincente o meno. Ed è su queste scelte che la politica potrà vincere le sue scommesse. O, ancora una volta, incappare nei suoi grandi errori dalle conseguenze catastrofiche.

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