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Furbetti e sciamani/ Se il dolore per il virus non redime le anime

Articolo riservato agli abbonati
8 Aprile 2021 (Lettura 4 minuti)
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Giusto un anno fa, all’inizio della pandemia, fiorì l’auspicio, e per alcuni la convinzione, che un periodo di sofferenze e di rinunce avrebbe favorito il recupero di una sensibilità solidale logorata da anni di consumismo edonistico: che insomma saremmo diventati tutti più buoni. Ogni spirito scettico nutrì dei dubbi davanti a questo ottimismo ispirato dalla speranza ma smentito dall’esperienza.

Perché il concetto che il dolore ci redima e le disgrazie ci migliorino è solo l’aspirazione consolatoria dell’anima afflitta, e un’illusoria alternativa alla rassegnazione. La natura umana se potesse evitare una pena ne farebbe volentieri a meno e davanti alle sventure tende a ribellarsi. Persino Giobbe, alla fine, perse la pazienza. 

E’ quello che sta avvenendo in una parte non trascurabile di cittadini, che mostra segni di insofferenza e di protesta. Sentimenti che tuttavia si manifestano in varie forme, che proviamo a esaminare. 

La prima è quella, agitata e vociferante, che abbiamo visto in questi giorni a Roma e in qualche altra città. Essa esprime l’esasperazione di quei lavoratori autonomi costretti a una forzata inattività. La loro rabbia non è alimentata solo dall’impoverimento, per alcuni irreversibile, ma anche da altri fattori: le incaute promesse del precedente governo che aveva assicurato adeguati ristori rivelatisi parziali, insufficienti e tardivi; l’incredibile andirivieni di chiusure totali e riaperture parziali, determinate da criteri opinabili, e comunque intervenute senza congrui preavvisi; le spese sostenute per adeguarsi alle prescrizioni sanitarie, rivelatesi poi inutili e irrecuperabili; e non ultima la manifesta disparità tra la loro catastrofe finanziaria e la solidità reddituale di quei lavoratori e pensionati che, costretti tra l’altro a un risparmio forzoso, hanno aumentato i propri risparmi come emerge dalle statistiche dei depositi bancari. 

Questa protesta è degenerata, come si è visto, in deplorevoli tumulti, e persino nell’imitazione pittoresca dell’invasione di Capitol Hill, con un manifestante vestito da sciamano. Si tratta, come ha detto la ministra Lamorgese, di comportamenti inaccettabili. Ma si tratta anche di disagi reali che non possono essere a lungo sottovalutati, e tanto meno ignorati.
La seconda specie di reazione è quella del cosiddetto negazionismo: è meno appariscente della contestazione piazzaiola, ma assai più pericolosa. Essa si articola in varie forme: dal messaggio che il Covid è l’invenzione di una propaganda allarmistica all’insinuazione che sia il prodotto artificioso delle famigerate multinazionali, che i vaccini siano “acqua sporca” e persino veleni programmati da una mente criminale. 

Purtroppo queste funeste teorie, degne della più lugubre superstizione e delle più caotiche credulità di ere passate, sono sostenute non solo da bigotti fanatici o da astuti imbonitori, ma persino da medici e magistrati, persone che decidono sulla salute e la libertà individuali, ancora più importanti dell’economia e del commercio. Così il Covid, invece di far emergere i nostri lati migliori, ha confermato il detto del filosofo che niente quanto l’ignoranza umana dà l’idea dell’infinito. 

La terza è quella che chiameremmo dell’imperturbabile irresponsabilità. Malgrado i quotidiani bollettini di guerra, gli appelli, le esortazioni e le minacce, continuiamo ad assistere a episodi di raduni, scampagnate e persino celebrazioni religiose di persone incuranti della legge, del buon senso e anche della propria incolumità. Un giorno leggiamo che a una festa di compleanno si sono infettati venti invitati; il giorno dopo che la stessa cosa è avvenuta a un funerale. E’ appena il caso di dire che in questi casi, più che telefonare alla polizia, sarebbe necessario chiamare gli infermieri.

L’ultima forma di ribellione è la più subdola, perché accampa ragioni parzialmente e apparentemente plausibili: il disagio economico, l’ansia claustrofobica della semidetenzione, la sfiducia nell’efficienza dello Stato, via via fino alla violazione dei nostri sacri diritti costituzionali. Ma non lo fa per spronare le istituzioni a una riflessione più accorta e un intervento più risolutivo, ma solo per giustificare il proprio egoismo incivile, incurante del prossimo fino all’arroganza beffarda. E’ la schiera dei “furbetti” che in realtà sono degli sciagurati: sono quelli che si intrufolano nelle liste dei vaccinandi, adducendo requisiti fasulli o addirittura falsificando le carte; quelli che saltano le file di chi aspetta pazientemente il proprio turno, escogitando espedienti degni dei film di Alberto Sordi e Dino Risi; quelli che sgomitano accampando privilegi ingiustificati o lamentando rischi in realtà inferiori a quelli di altre persone più silenziose e disciplinate. Un quadro desolante e disgustoso, che smentisce le illusioni di chi credeva nelle magnifiche sorti di un’umanità redenta dal dolore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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