Romana Liuzzo*

Le sfide dell’Europa e il sogno interrotto di Carli

di Romana Liuzzo*
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Martedì 28 Marzo 2023, 00:47 - Ultimo aggiornamento: 22:40

Potrebbe applicarsi all’Europa di oggi il titolo della novella di Luigi Pirandello pubblicata postuma nel 1936. Basta scorrere i temi all’ordine del giorno del Consiglio europeo che si è appena concluso a Bruxelles senza grandi risultati per capire la portata delle sfide del nostro tempo e la difficoltà nel raccoglierle: Ucraina, competitività, mercato unico ed economia, energia e transizione ecologica, migrazioni.

Tutto nel contesto di una guerra nel cuore del Vecchio Continente che non accenna a terminare e di un cambiamento epocale degli equilibri geopolitici, con l’asse Cina-Russia che si va saldando ogni giorno di più in opposizione agli Stati Uniti di Joe Biden.


Il sogno interrotto è quello di Guido Carli e di chi, come l’ex ministro del Tesoro ed ex Governatore della Banca d’Italia, credeva in un’Europa attenta alla crescita e all’occupazione. Non matrigna, ma madre provvidenziale. Non miope, ma lungimirante. Non tempio della burocrazia, ma casa comune dei popoli capace di moltiplicare le energie unendo le forze dei singoli Stati.


La necessità di una ridefinizione dell’identità europea che abbandoni le astruserie ragionieristiche e sappia guardare lontano è sotto gli occhi di tutti. Questo era il disegno dietro la celebre clausola nel Trattato di Maastricht negoziata da Carli, che consentiva agli Stati di impegnarsi in un percorso di avvicinamento tendenziale alla soglia obiettivo del 60% del rapporto debito-Pil. Flessibilità contro rigidità, dinamica contro statica. E, in controluce, lo sviluppo economico e sociale come obiettivo prioritario della futura unione che Carli immaginava sarebbe stata cementata dalla moneta unica. Per questo descrisse il Trattato come «un nuovo patto tra Stato e cittadini, a favore di questi ultimi», sorprendendosi del fatto che un cambiamento giuridico di quella portata fosse passato in Italia «pressoché sotto silenzio».


Morì quattordici mesi dopo la firma, il 23 aprile 1993, esattamente trent’anni fa. Il suo sforzo negoziale, come il giurista e amico Giuseppe Guarino non si stancò mai di ripetere, fu in parte spesso tradito da regolamenti dalla dubbia legittimità e dal Fiscal Compact, che imposero parametri di bilancio fissi e omogenei, dimentichi della stella polare della crescita e del lavoro. Ma la sua lezione appare più attuale che mai. Anche perché le rivalità tra Stati membri – formiche contro cicale, Nord contro Sud, frugali contro meridionali, ognun per sé - suonano sempre più antistoriche, così come le impressionanti lentezze decisionali, le resistenze a fornire risposte comuni a problemi comuni (l’immigrazione in primis) e i tentativi di rinsaldare l’asse franco-tedesco, a scapito degli altri, che in passato non hanno giovato alla solidità dell’Unione.

Le grandi crisi non si combattono con eserciti frammentati e diffidenti, in cui ogni reparto parla un linguaggio diverso e si procede per geometrie variabili a seconda della convenienza del momento.

Carli a Maastricht ci ha indicato la strada, difendendo sì l’interesse nazionale, ma nel segno e nel nome del più alto progetto di integrazione europea. L’unico che anche adesso, se avremo il coraggio di completarlo, potrà far valere la grandezza dei nostri valori di cittadini europei: pace e sicurezza, mercato e diritti, libertà e responsabilità. Democrazia. Nessuno che deve essere lasciato indietro.


Nel 1945 Luigi Einaudi scrisse che «nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza». L’alternativa, aggiunse, «non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’essere uniti o scomparire». Carli, mio nonno, non ebbe dubbi. Al suo europeismo non ideologico eppure visionario, ai suoi insegnamenti di rigore e intelligenza, al suo impegno per la modernizzazione del Paese, la Fondazione che mi onoro di presiedere sta dedicando le celebrazioni per il trentennale della scomparsa, che culmineranno il 5 maggio nella solenne cornice del Teatro dell’Opera con la cerimonia di assegnazione del Premio Guido Carli ai talenti che danno lustro all’Italia nel mondo.

Quattordici tra donne e uomini che fanno la differenza nelle istituzioni, nell’economia, nella cultura, nello sport e anche nella musica. Una genealogia valoriale, il filo annodato tra passato e presente, ma anche una staffetta tra generazioni per offrire una mappa delle eccellenze che possa essere modello per i giovani: l’avvenire in cui Carli ha creduto e investito senza mai perdere la speranza. Ripartiamo dal suo sogno interrotto. Non è ancora troppo tardi perché diventi realtà.


*Presidente Fondazione Guido Carli
 

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