Romano Prodi
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Lezione ucraina/ La dipendenza energetica che fiacca l'Europa

di Romano Prodi
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Venerdì 4 Marzo 2022, 00:09

Pochi eventi hanno cambiato la politica e l’economia mondiale come la tragica invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. L’imperdonabile e incomprensibile aggressione ha dato vita ad una solidarietà europea che non si era manifestata in nessuno dei grandi eventi di politica internazionale, dalla guerra in Iraq fino al conflitto Libico. 

A tutto questo si è aggiunta la sorprendente decisione tedesca di aumentare le spese militari di una dimensione tale che, solo un mese fa, nessuno avrebbe previsto. Questo terremoto politico non sembra arrestarsi entro i confini europei. Non vi sono elementi sufficienti per concludere che si sia rotta l’alleanza fra Russia e Cina, ma le prese di distanza sono numerose e, se si può dire, crescenti. Non solo vi è stata l’astensione in Consiglio di sicurezza da parte della Cina, ma ad essa si sono aggiunte le parole di imbarazzato equilibrio del presidente Xi Jinping e la raccomandazione del ministro degli esteri Wang Yi perché venga salvaguardata l’integrità dell’Ucraina. Nonostante molte di queste espressioni derivino più da un tradizionale rapporto di amicizia fra Cina e Ucraina (non dimentichiamo che la prima portaerei cinese è stata comprata usata dall’Ucraina) che non da sentimenti ostili alla Russia, esse costituiscono una presa di distanza dall’amico russo, anche se bilanciate dall’ammonimento alla Nato che la sicurezza regionale non può essere ottenuta attraverso l’espansione dei blocchi militari.

Da tutto questo comportamento così raffinatamente ambiguo e difficilmente interpretabile, vi è chi ne trae la conclusione che la Cina voglia candidarsi come mediatore, ma fino ad ora nessun passo concreto è stato compiuto e vi sono oggettive difficoltà perché questo possa avvenire. 
La guerra di Ucraina sta inoltre complicando i rapporti fra Russia e Turchia, Paesi tradizionalmente ostili fra loro e concorrenziali, ma che erano divenuti recentemente amici. Questa intervenuta tensione fra Turchia e Russia non può che avere l’effetto di rendere meno tese le relazioni all’interno della Nato, nell’ambito della quale la Turchia era stata accusata di eccessive aperture nei confronti della Russia.

Ci si può a questo punto chiedere perché la Russia abbia deciso di combattere una guerra che la sta isolando dal mondo. Vi possono essere tante ragioni per spiegare quest’atteggiamento irrazionalmente aggressivo, ma non bisogna dimenticare che, nel suo profondo, Putin si sente erede della Russia degli Zar. Egli forse dimentica, come ha osservato Arturo Parisi, che nel 1914, ultimo anno in cui imperavano gli Zar, la Russia con i suoi 175 milioni di cittadini, costituiva un decimo dell’intera umanità mentre, oggi, i suoi 146 milioni non arrivano a un cinquantesimo del genere umano e il Pil del Paese non raggiunge quello dell’Italia.

D’altra parte è un comune comportamento degli imperi quello di governare guardando al passato. Un sentimento che ha avuto enorme importanza nel decidere la Brexit e che ancora influenza la politica estera francese, come dimostra il caso libico.

L’attacco all’Ucraina, provocando un’inedita solidarietà europea e spingendo al riarmo la Germania, sta quindi inesorabilmente isolando la Russia, diminuendone il ruolo internazionale.

Oltre che ad una ancora elevata capacità militare (accompagnata dall’angosciante allusione all’arma nucleare) la forza russa si fonda quindi prevalentemente sulle sue immense risorse energetiche, così potenti che non solo condizionano in modo drammatico l’economia e i modelli di vita dell’Europa, ma che ne hanno anche recentemente condizionato la politica. Siamo arrivati al punto che perfino le sanzioni alle banche sono state organizzate in modo da evitare il blocco dei rifornimenti energetici, anche se con gli immensi ricavi del gas e del petrolio (si parla di 700 milioni di euro al giorno) noi stiamo praticamente finanziando anche la guerra in Ucraina.

Pur sperando ancora in un ammorbidimento delle relazioni internazionali, la lezione da trarre oggi è una sola: dopo decenni di dipendenza, accompagnati però dalla sicurezza dei rifornimenti e da una sostanziale stabilità nei prezzi e nelle quantità, l’Europa è entrata in una fase in cui questa dipendenza mette a rischio la sua politica e la sua economia.

Come abbiamo sottolineato la politica europea è interamente cambiata in conseguenza degli ultimi avvenimenti: bisogna che una simile reazione sia messa in atto anche nel settore energetico diversificando le nostre fonti, senza rinunciare all’obiettivo finale di raggiungere la neutralità energetica, ma avendo coscienza che è necessario un lungo periodo di transizione.

La nostra sprovvedutezza e gli assurdi ostacoli a qualsiasi investimento nel campo dell’energia (non solo in Italia, ma in quasi tutti i Paesi europei a cominciare dalla Germania) ci stanno perfino obbligando a ritornare al carbone e all’olio combustibile. I rimedi per potere diversificare le fonti in questa complessa transizione sono tanti e sono ben noti, ma tutti esigono un lungo periodo di tempo per essere messi in atto. 

Certo dobbiamo moltiplicare gli investimenti nelle energie alternative, dobbiamo ricorrere maggiormente al gas liquefatto, dobbiamo aumentare la portata del famigerato Tap ( che tanti non volevano) , dobbiamo ricoprire tutti i tetti degli stabilimenti industriali e commerciali di impianti solari e dobbiamo chiedere forniture aggiuntive all’Algeria, anche se essa ha sempre più bisogno di gas per uso interno. Sono tutti passi necessari da compiere ma, intanto, dobbiamo ricostruire le scorte prima del prossimo inverno e lo dovremo fare con i costi che continuano ad aumentare ogni giorno. Non credo che sia fuori luogo o eccessivamente allarmante che, insieme a tutte le possibili misure di politica internazionale dedicate all’offerta, vi siano anche decisioni che riguardano il contenimento della domanda. Non penso ad obblighi difficili da rispettare, ma almeno ad un messaggio che indichi che dall’emergenza di cui siamo tutti prigionieri, si esce con il contributo di tutti. E che un po’ più di fresco in casa non fa male a nessuno. 

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