Luca Diotallevi
Luca Diotallevi

Voto in Francia/ Una lezione per il sistema italiano

di Luca Diotallevi
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Mercoledì 13 Aprile 2022, 00:11

Sfruttiamo il vantaggio di avere ancora bene in mente i risultati del primo turno delle presidenziali francesi e proviamo a lasciare da parte simpatie ed antipatie per Macron (più o meno 27%), Le Pen (più o meno 23%), Mélenchon (più o meno 21%) e compagnia (un bel numero di candidati che hanno racimolato dal 7% di Zemmour in giù). Se cancelliamo i nomi e teniamo i numeri, potrebbe sembrare uno scenario “italiano”. Proviamo allora ad immaginare che, oltre numeri “italiani”, nella politica francese valgano anche le regole “italiane”: presidente della repubblica che non guida il governo, parlamento eletto con una legge elettorale proporzionale, capo dell’esecutivo eletto dal parlamento (addirittura da due Camere, magari anche con numeri diversi).

Con i risultati di domenica e le regole “italiane” oggi in Francia avrebbero nell’ordine: (1) nessun governo eletto e molti governi possibili, anche fatti da partiti che in campagna elettorale hanno spergiurato di non governare mai insieme; (2) trattative di settimane se non mesi della cui sostanza nessuno di noi sarebbe informato; (3) un capo dell’esecutivo ed una compagine di governo che nessuno di noi elettori (e contribuenti) ha scelto; (4) un governo sempre in bilico, che non può programmare politiche serie, ma solo vivacchiare e sciogliersi da un momento all’altro. Quanto una situazione politica del genere costi e quanto poco renda al Paese non è un mistero. Non lo era neppure per De Gaulle che, di fronte alla crisi terribile della IV Repubblica francese, sostanzialmente impose (semi)presidenzialismo e legge elettorale maggioritaria, entrambi regolati da un “doppio turno”. Sicché, da quel momento, e qui sta il punto, in Francia sono gli elettori che decidono chi deve fare il capo dell’esecutivo e chi deve fare il deputato (il senato francese conta poco). L’effetto è sotto gli occhi di tutti: alternative chiare, voto “pesante”, tempi certi, azione di governo costante.

Ricetta magica quella francese? Assolutamente no: qualche volta un po’ si inceppa. Solo che da loro l’inceppamento è raro e si può gestire, mentre da noi è la norma e si autoalimenta. Perché noi no? Perché non adottiamo regole come quelle francesi? La risposta è tristemente nota.

In Italia una larga parte di ceto politico lucra sugli intoppi e gli inciuci. Campa dei costi di un eccesso di mediazione politica. Non lavora perché la politica decida, ma campa perché e finché la politica non decide. E per continuare a campare, questa larga parte di ceto politico evita come la peste tutto quello che dà più forza all’elettore e stabilità ai governi. Per coprire tutto questo le frottole messe in giro non si contano. Due le più abusate. La prima frottola: il sistema francese sacrifica la rappresentanza; dato però che in democrazia rappresentanza significa responsabilità, è lì e non da noi che c’è rappresentanza, è lì, infatti, che gli eletti debbono temere gli elettori. La seconda frottola: quel sistema aiuta gli estremisti; basta però osservare i risultati e rendersi conto che sono le regole “italiane” a lasciare porte e finestre aperte a funamboli ed estremisti, mentre sono quelle adottate in Francia a premiare i moderati (quelli veri, quelli che vogliono governare e sanno farlo, non quelli che campano di trappole, intoppi e inciuci).

Dobbiamo rassegnarci? Manco per sogno. Oggi, e ne abbiamo già avuti dei segnali, in Italia si può dare una congiuntura favorevole. Oggi nel centrodestra è forte la componente sensibile alle ragioni del presidenzialismo; oggi nel centrosinistra è forte la componente favorevole a maggioritario e doppio turno. Con reciproco vantaggio e soprattutto con vantaggio per il Paese queste due componenti potrebbero, nel rispetto delle distinzioni, trovare un punto d’intesa sulle regole. Quelle che servono sono riforme istituzionali che richiedono più dell’anno che ci separa dalle prossime elezioni politiche, ma sono anche riforme alle quali ci può avvicinare per piccoli passi (a cominciare dalla legge elettorale), con piccole correzioni che aiutino a non mandare sprecate le prossime elezioni. Ps. Qualcuno potrebbe dire: «Ma non sarebbe meglio ispirarsi al modello tedesco?» Se avessimo tempo e spazio, potremmo ripetere un discorso al fondo molto simile a quello appena fatto. L’importante, infatti, è dare finalmente anche all’Italia un modello di democrazia “governante”. 

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