Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Non solo caso Cina/La crisi Oms va ben oltre le accuse di Trump

di Vittorio Emanuele Parsi
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Mercoledì 20 Maggio 2020, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:29
Che Donald Trump attacchi l’Organizzazione mondiale della sanità e la Cina anche, e forse soprattutto, per motivi di politica interna, per far dimenticare la sua pessima performance nella (non) gestione della pandemia e tentando di risalire i declinanti sondaggi in vista delle presidenziali di novembre, è una considerazione difficilmente discutibile. Come lo è d’altronde la constatazione delle gravi inadempienze dell’Oms. 

I motivi “partigiani” che possono motivare le accuse del presidente americano non possono, e non devono, fornire un alibi alle omissioni riscontrabili nel comportamento dell’Oms. Il ritardo con cui essa ha proclamato lo stato di pandemia globale (l’11 marzo) è probabilmente la contestazione più grave. Le ragioni per cui ciò è avvenuto costituiscono il fatto politicamente più dirompente. 

Oltre 100 governi, ovvero più della metà degli Stati membri dell’Onu, chiedono un’indagine esauriente sulla tempestività ed efficacia del coordinamento della risposta internazionale al Covid-19 da parte dell’Oms. Il sospetto è che ragioni di opportunità politica abbiano spinto i vertici della burocrazia dell’agenzia delle Nazioni Unite ad adottare decisioni che hanno ritardato ed attenuato il contrasto della pandemia.
Cerchiamo di chiarire un punto.

Che la politica non possa essere espunta da qualunque istituzione i cui membri siano degli Stati è talmente ovvio che ribadirlo rasenta, e forse oltrepassa, la banalità. Non può quindi sorprendere che gli Stati, tutti gli Stati e in maggior misura quelli più potenti e quelli che la finanziano maggiormente, tentino di esercitare pressioni per implementare le proprie agende nazionali anche attraverso l’Oms. Basti pensare a classici temi di scontro come il controllo delle nascite, la lotta all’Aids o la sperimentazione di nuovi farmaci. Ma tali pressioni non dovrebbero spingersi fino a paralizzarne o dirottarne l’azione. In altri termini: la natura anche tecnica dell’Oms – un’agenzia specializzata dell’Onu, come la Fao in campo agricolo o l’Unesco in campo culturale – dovrebbe porre dei limiti all’influenza politica.

Tant’è vero che quando tali soglie vengono oltrepassate, o anche solo è possibile argomentare che siano state varcate, le agenzie specializzate corrono il rischio di essere abbandonate o non più finanziate da alcuni dei loro azionisti. Come è successo all’Unesco, presa in mezzo alla più polemica e incomponibile delle querelle politiche: quella tra Israele e Palestina.
Un’istituzione a vocazione universale e generale (quindi naturalmente politica) come le Nazioni Unite mantiene un senso persino nel momento in cui le sue decisioni sono paralizzate, come è puntualmente successo durante la Guerra fredda, quando i veti incrociati di Stati Uniti e Unione Sovietica non consentivano al Consiglio di Sicurezza di adottare Risoluzioni impegnative per tutti gli Stati membri. Ma la sua natura di forum di decantazione e discussione politica ne manteneva inalterata la centralità del ruolo, nonostante la riduzione dell’effettività delle sue funzioni operative. E a nessuno è mai saltato in mente di uscire dall’Onu.

Lo stesso principio non può applicarsi invece alle agenzie delle Nazioni Unite che sono sorte allo scopo di coordinare le politiche dei diversi Stati membri per conseguire obiettivi specifici. E tra questi, inutile negarlo, l’Oms è quella che ha un compito non soltanto specifico ma pure estremamente concreto (come la tutela della salute), che oltretutto si presenta anche come molto più misurabile rispetto ad altri (come la promozione della cultura). Ecco perché, quando la politica coinvolge queste organizzazioni oltre il punto di minarne la credibilità e l’efficacia dell’azione, esse possono risultarne travolte.
È appena il caso di ricordare che mai, anche durante le fasi più aspre della Guerra fredda, l’Oms era finita così al centro di polemiche, sospetti e censure di natura politica. Anche per questo, il nuovo possibile bipolarismo sino-americano, o comunque il duello che il leader del sistema e il suo principale sfidante hanno intrapreso da oltre un decennio e che ora arriva a coinvolgere l’Oms, costituisce un pessimo segnale. Rappresenta lo sfondamento di una nuova possibile soglia della contesa dalla natura potenzialmente devastante, sia rispetto alla struttura istituzionale esistente sia rispetto all’ideale e al metodo del multilateralismo.

Ma le colpe degli Stati, la rivalità tra le grandi potenze, non esauriscono la questione. In un campo come quello della salute pubblica universale la cooperazione è un bene prezioso e rilevantissimo, presupposto di qualunque successo. Proprio per questo i comportamenti delle burocrazie che sono delegate ad occuparsene dovrebbero essere e “apparire” (come la moglie di Cesare…) irreprensibili. È esattamente quello che è fortemente in questione, e non senza fondamento, in questi mesi.



 
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