«Ma hai visto come si è conciato quello?». «Alla sua età piuttosto che andare in palestra dovrebbe stare a casa a fare la calza». «Ma la senti, quella puzza d'aglio, ma come si fa...». E questo è niente. Dalle battute che si fanno/facevano al bar, tra gruppi di amici, passeggiando per strada, siamo passati agli insulti, e minacce, via social.
Mai come in questo periodo parlare male degli altri, offendere ed insultare sembra essere così diffuso e popolare. Pare addirittura che insultare faccia bene: scaricare la rabbia aiuta perché stimola la produzione della dopamina, il neurotrasmettitore del piacere, che si attiva ogniqualvolta facciamo qualcosa, appunto, di piacevole mangiare, attività sessuale inducendoci a ripeterlo. L'ho sentito sostenere di recente in un talk show nostrano, non ricordo bene da chi e che titolo avesse per sostenerlo. Ma è proprio così? O è invece il contrario? Dal Giappone arriva una teoria completamente opposta. Insultare fa male. A chi insulta, non a chi che spesso neanche se ne accorge gli insulti sono diretti.
Mentre sui grandi giornali ed i network televisivi nazionali è difficile trovare notizie e/o spunti fuori dal coro, in Giappone ci pensano i settimanali, alcuni dei quali hanno tirature da brivido (oltre 5 milioni di copie) a darci le vere notizie, e a offrirci interpretazioni diverse della cosiddetta realtà. Una di queste riviste, Josei Seven (oltre 2 milioni di copie) ha pubblicato un interessante articolo sull'impatto, e non solo sociale, come vedremo, del cosiddetto waruguchi, termine con il quale si definisce la brutta, quanto ahimè universalmente diffusa, abitudine a parlar male degli altri. Che sembra faccia male. Ma non agli altri, ai destinatari degli insulti (che spesso non ne sono neanche consapevoli), bensì a noi stessi.
Una sorta di boomerang, sostiene lo psichiatra Shion Abusawa, secondo il quale lo stress prodotto da un insulto ricevuto ma spesso non percepito è addirittura minore rispetto a quello lanciato. L'amidgala, la parte del cervello che gestisce le emozioni, compresa la paura non fa infatti differenza tra minaccia in entrata o in uscita: e l'insulto inviato, specie quello rivolto ad alta voce, è alla fine molto più dannoso di quello che ci hanno rivolto, ma che in realtà non abbiamo neanche percepito.
Certo, definire idiota o imbecille qualcuno ti fa sentire sia pur relativamente più intelligente, mentre accusare gli altri di essere corrotti e mascalzoni ci fa sentire più onesti ed integerrimi. Ed è vero lo dimostrano vari test che insultare con convinzione e trasporto aumenti la produzione di dopamina, così come qualsiasi altra attività piacevole. Ma attenzione, perché come ricorda il dottor Kabasawa dobbiamo fare i conti anche con l'amigdala, una delle zone più primitive del cervello. Una zona che ha solo due posizioni: on e off.
Quando sente un urlo, un grido, sia esso proveniente dall'esterno o dall'interno, si attiva, molto prima che intervenga la più sofisticata corteccia prefrontale, parte del cervello che riconosce, analizza accadimenti e situazioni, determinando poi l'appropriata reazione. In altre parole, prima ancora che possa essere valutata una eventuale minaccia, l'amigdala provoca uno stato di tensione, financo paura e dunque stress nel momento in cui sente l'urlo, l'insulto, la rabbia in qualche modo manifestata.
Non basta: lo stato di allerta lanciato dall'amigdala a sua volta impone alla più lenta, ma indispensabile, corteccia prefrontale di intervenire, e decidere il tipo di reazione. Ma l'intervento della corteccia prefrontale non è gratuito, inesauribile: ha un suo costo, primo fra tutti quello di invecchiare prima, di rallentarla. Sono i vuoti di memoria, le amnesie anche parziali e momentanee. Fino ad arrivare a forme più gravi come la demenza. Meno vi arrabbiate, meno insultate e criticate gli altri, meglio e più a lungo vivrete. Un buon motivo per tenere a freno la lingua, o, di questi tempi, i polpastrelli.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout