Carlo Nordio
Carlo Nordio

Una svolta per evitare il ricatto allo Stato

di Carlo Nordio
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Lunedì 11 Maggio 2020, 01:11 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 14:44
Diciamo subito che la liberazione di Silvia Romano è stata una parentesi di sollievo in un Paese soffocato dall'epidemia ed esasperato dalla contenzione; e aggiungiamo che, al punto in cui stavano le cose, non c'era altra soluzione che cedere al ricatto dei sequestratori. Questo ci dice il nostro cuore di cristiani e il nostro spirito di cittadini: il costo sopportato dallo Stato è ben poca cosa rispetto al ritorno della ragazza alla famiglia e alla vita. Per di più abbiamo dato prova nel campo dell'intelligence di una indiscutibile professionalità. Tuttavia questo prezzo non si esaurisce nella somma, alta o bassa, esborsata per la sua liberazione. Vi sono dei costi aggiuntivi che, in prospettiva, la politica dovrà prendere in seria considerazione, sia nell'interesse collettivo, sia in quello degli stessi cooperanti.
Il primo è di ordine generale. La libertà di queste organizzazioni umanitarie nel soccorrere i popoli dei paesi insicuri, limita la stessa libertà dello Stato nei suoi rapporti internazionali. 
Se è vero infatti che l'Italia ha chiesto il soccorso di altri governi per contattare i rapitori e contrattare con loro, questo favore dovrà essere presto ricambiato. In politica nessuno fa niente per niente, e le cambiali prima o poi andranno onorate. Lo abbiamo visto anni fa con il famoso lodo Moro, quando l'Italia rinunciò alla sua sovranità giudiziaria nei confronti dei terroristi palestinesi, in cambio di una sorta di immunità dagli attentati. E con i tempi che corrono, e il Mediterraneo in fiamme, le nostre opzioni saranno più condizionate dai nostri creditori. 
Il secondo è che, pagando il riscatto, si alimenta il crimine e, in questo caso, il terrorismo. Questo è un principio così evidente nei sequestri di persona, che il nostro stesso legislatore, che non è mai stato sospettabile di spregiudicato cinismo, a suo tempo emanò una normativa per bloccare i beni delle famiglie dei rapiti, pur sapendo che vi sarebbe stato il rischio, agli inizi, di qualche conseguenza fatale. Di fatto, il provvedimento eliminò il fenomeno, e le organizzazioni criminali scelsero di battere altre vie: questo perché niente riduce il crimine quanto il renderlo improduttivo. Al contrario, pagando i riscatti, si alimentano le finanze dei malandrini; se poi si tratta di terroristi, o di belligeranti, l'effetto è ancora più grave. 
Il terzo, che ci riguarda più da vicino, è che se ogni Stato decide per conto suo, alla fine i criminali si orienteranno verso l'anello debole, aumentandone la vulnerabilità. In Italia, prima che si disponesse per legge il blocco dei beni, le bande di sequestratori si informavano sugli atteggiamenti delle varie Procure, ciascuna delle quali agiva per conto proprio: una vietava la trattativa, un'altra la assecondava, un'altra ancora fingeva di ignorarla. Cosicché i banditi operavano nei territori dove i magistrati erano meno risoluti. Ora non sappiamo come agiscano gli altri Stati in queste circostanze: la gran parte fa come abbiamo fatto noi. Ma se non si adotta un indirizzo omogeneo, temiamo con qualche ragione che i rapimenti aumenteranno proprio tra i nostri cooperanti.
In una situazione così complessa non è facile fornire una soluzione soddisfacente. Men che mai è giudizioso far la faccia feroce, e abbandonare le vittime alla loro sorte affermando che se la sono cercata. Nondimeno queste organizzazioni umanitarie grandi o piccole, consolidate o occasionali, dovrebbero per prime affrontare il problema, studiando tutte le implicazioni che esso comporta per i suoi stessi appartenenti, e coordinandosi con le varie Nazioni nell'esecuzione dei loro progetti, tenendo conto delle condizioni in cui vanno a operare. Questo eviterebbe più che l'onere di pagare un riscatto, il rischio di veder esercitare un ricatto nei confronti dello Stato. E comporterebbe non solo una omogeneità di approccio, ma anche di gestione delle emergenze, tra l'altro evitando le aspre polemiche che inevitabilmente conseguono all'epilogo di ogni rapimento, anche quando, come in questo caso, è stato un epilogo positivo. 
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