Carlo Nordio
Carlo Nordio

Diritti negati/ Le mosse necessarie per risanare la giustizia

di Carlo Nordio
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Martedì 9 Febbraio 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 00:12

Il governo Conte2 si è frantumato, almeno in apparenza, sullo scoglio della prescrizione. E’ stato infatti per evitare una sonora sconfitta in Parlamento del ministro Bonafede che è iniziata la disordinata ricerca dei sostituti di Renzi conclusasi come sappiamo. Quindi in teoria è dalla giustizia penale che dovremmo ripartire. In realtà non è così, perché le due emergenze più urgenti, come ormai è banale ripetere, sono l’economia e la salute. Tuttavia su entrambe la giustizia ha qualcosa da dire. Per la ripresa economica occorrono subito tre interventi. Il primo riguarda la giustizia civile. I ritardi nella definizione delle cause ci costano circa due punti di Pil, perché nessuno investe volentieri in un Paese in cui non v’è certezza di una definizione rapida dell’esecuzione dei contratti e dell’adempimento delle obbligazioni. Questa lentezza dipende a sua volta da due fattori: la complessità delle procedure e la carenza di personale. Le prime possono esser corrette copiando il sistema tedesco, duttile ed efficace. Abbiamo già detto che non c’ è nulla di cui vergognarsi a copiare. Anche loro, come i francesi con il “Code Napoléon”, hanno copiato dal diritto romano. Le seconde non richiedono disponibilità finanziare stratosferiche, e quelle offerteci dall’Europa sarebbero più che sufficienti. È necessario colmare i vuoti del personale amministrativo, con concorsi veloci e soprattutto regionali, per evitare la diaspora dei ricongiungimenti familiari. E magari sistemare lo statuto economico dei giudici onorari, che vengono pagati in modo miserabile a cottimo e non godono nemmeno di garanzie previdenziali. 

Per la giustizia penale gli obiettivi devono esser più limitati. Noi abbiamo qui sostenuto fino alla noia che l’attuale sistema è fallito, che il codice Vassalli è stato snaturato e che se pochi si fidavano dei giudici prima, ancor meno si fidano adesso dopo lo scandalo di Palamara. Abbiamo sostenuto, e sosteniamo, che occorre un nuovo codice garantista e liberale, che ponga fine all’ignominia delle intercettazioni, degli abusi della carcerazione preventiva e di altre allarmanti anomalie. Abbiamo anche detto che il Csm è ormai screditato, e che occorre una revisione totale della sua nomina e della sua composizione. Abbiamo infine auspicato che una commissione parlamentare faccia finalmente luce sui rapporti tra Anm e Csm rivelatisi, sempre con le rivelazioni di Palamara, opachi e inquietanti. Ma con altrettanta determinazione dobbiamo dire che ora le emergenze non sono queste. Non tanto perché gli argomenti siano, come si dice, divisivi o dirimenti, ma perché sono di lunga elaborazione e di ancor più incerto risultato, mentre occorre intervenire subito, sempre in funzione della ripresa economica.

E qui la giustizia penale va riformata eliminando quegli ostacoli che oggi impediscono all’Amministrazione di decidere, e alle imprese di operare.

Non è un mistero che sindaci, assessori ecc, rallentano o rinviano l’approvazione di provvedimenti perché temono di esser inquisiti per due reati evanescenti quanto inutili: l’abuso di ufficio e il traffico di influenze. Questi vanno eliminati dal codice. Creano processi eterni e senza esito, e la loro soppressione non comporterebbe un vuoto di tutela. In compenso ridarebbero un po’ di serenità a chi ogni giorno rischia, se non proprio la galera, il calvario di un’indagine lunga, logorante e costosa. Anche la legge Severino andrebbe abolita, perché costituisce un vulnus alla presunzione di innocenza stabilita dalla Costituzione. Contemporaneamente va rivisto e semplificato il codice degli appalti, rivelatosi complesso, contraddittorio e incomprensibile. 

Infine i Tar. Tutti i provvedimenti amministrativi, dai Dpcm sulla pandemia alla bocciatura di un alunno possono essere, come si sa, impugnati davanti ai Tribunali Regionali. Questo provoca un intasamento di cause, ma soprattutto una paralisi di ogni attività, anche di quelle più urgenti. Tali ricorsi sono previsti dall’art 113 della Costituzione, ma con una maggioranza di due terzi, in doppia lettura, la disposizione potrebbe esser cambiata in tre mesi, stabilendo una riserva di legge per gli atti tassativamente impugnabili. Il ricorso al Tar quindi non sarebbe più la regola, ma l’eccezione. 

Infine, per la salute, sarebbe bene predisporre maggiori tutele a favore di medici e sanitari, sempre più spesso aggrediti da denunce penali e citazioni civili, infondate e pretestuose, volte a ottenere risarcimenti pecuniari. L’ultima legge Gelli non basta più. Occorre proteggere la serenità di chi vigila sulla nostra salute come si fa con i magistrati, ponendo dei filtri alle azioni giudiziarie nei loro confronti, e magari assistendoli con un’assicurazione a carico dello Stato.
Queste riforme, di limitato impegno finanziario, potrebbero esser fatte nell’arco di poco tempo. Costituirebbero un segnale importante per la Pubblica Amministrazione, per le imprese e per l’Europa. Ora il Presidente Draghi, al quale va il nostro rispettoso augurio, possiede due delle tre doti che Gibbon considerava essenziali a chi governa: la mente per comprendere e il cuore per decidere. La terza, il braccio per eseguire, non dipende la lui, ma dal Parlamento. Speriamo che non se lo voglia tagliare per puro dispetto, con il rischio concreto di perdere anche la testa e la vita. 
 

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