Luca Diotallevi
Luca Diotallevi

​L'analisi / Il dialogo per pacificare i nuovi ordini globali

di Luca Diotallevi
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Lunedì 17 Aprile 2023, 23:54
Quello che era nell’aria da almeno un paio di decenni, agli inizi dello scorso febbraio ha trovato una compiuta espressione al massimo livello di ufficialità. La Cina ed il suo attuale più importante alleato, la Federazione Russa, hanno delineato apertamente i caratteri di un modello di ordine globale alternativo a quello affermatosi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, a guida USA e con le partnership di Giappone ed Europa (centro-occidentale, sia continentale che insulare).
Sarebbe suicida guardare con indifferenza alla competizione tra questi due modelli di ordine sociale, tanto più che questa competizione non è più solo culturale ed economica, ma ormai purtroppo anche militare. Così come sarebbe patetico cercare di spacciare uno dei due contendenti come perfetto. Le differenze sono sempre relative, anche quando sono enormi: obbligano a scegliere, ma impediscono di idealizzare.
Concentriamoci allora su queste differenze, sulle principali per lo meno. Proviamo ad individuare quelle sulle quali le due parti concorderebbero. Per essere sicuri, usiamo come traccia proprio la dichiarazione di Putin e Xi del 4 Febbraio del 2022. In tre casi almeno possiamo andare sul sicuro.
Xi e Putin solennemente affermano che i diritti umani fondamentali debbono essere subordinati alla interpretazione che ne danno le autorità politiche dei singoli stati e non possono essere utilizzati per difendere – in una sede internazionale – i cittadini di un paese dai soprusi dei governanti di quegli stessi paesi. I diritti non valgono più del benessere (definito stato per stato dalle competenti autorità politiche). La regola delle regole è la eguaglianza tra gli stati che popolano il globo e non quella tra le persone che abitano questo pianeta.
Per Xi e Putin potere è un sostantivo declinabile solo al singolare. Il potere, o il potere dei poteri, è solo quello politico. La forma dell’ordine sociale è quella dettata dal singolo stato, senza eccezione di ambiti o di circostanze. In due casi questo appare particolarmente evidente: nei rapporti tra politica e diritto e nei rapporti tra politica e religione. È la politica che decide i diritti di cui una persona può godere o no, il giudice deve limitarsi ad applicare quanto la politica ha deciso. Il sistema giudiziario di Hong Kong, basato sul principio opposto, è stato trasformato in coerenza al primato del partito sullo stato e dello stato sui giudici. Non meno interessante è il caso del rapporto tra politica e religione. Si badi, rispetto ai precedenti sia Putin (con l’Ortodossìa) che Xi (con la tradizione confuciana) hanno operato un recupero massiccio del religioso. Non però nel senso della libertà religiosa (non obbligare, non impedire), ma per sostituire la vecchia ideologia marxista con le rispettive e più antiche tradizioni religiose onde supportare obbedienza, identità e coesione sociale. Che in un quadro del genere anche i poteri economici o quelli scientifici siano subordinati ai poteri politici è un dato scontato, se non per il fatto che il controllo dello stato sull’economia e sulle istituzioni universitarie è in entrambe i paesi addirittura cresciuto.
Nel manifesto sino-russo i confini materiali conoscono una nuova giovinezza. Senza confini non c’è stato. Si tratta però, non di confini internazionalmente riconosciuti e vincolanti per lo stato, ma di confini che è lo stato stesso a darsi. Proprio come le mura antiche, nel modello sino-russo i confini sono ostacolo alle ingerenze esterne (degli eserciti, dei giudici, dei scienziati, dei mercanti o della comunicazione), non sono limiti ai progetti interni. Si tratta insomma di confini che non possono essere attraversati da fuori verso dentro, ma solo da dentro verso fuori. Se è forte, uno stato allarga i propri confini.
Quanto meno con riferimento a questi tre punti, possiamo assumere che né i sostenitori del modello sinoi-russo né i sostenitori del modello alternativo – quello occidentale – avrebbero granché da obiettare a chi affermasse che quest’ultimo pone i diritti prima delle leggi, non concede al potere politico alcun primato assoluto sugli altri poteri e relativizza il valore dei confini spaziali. In breve, viviamo in un mondo fatto di due “mondi”. Nulla di cui stupirsi, per decine di secoli in questo mondo ci sono stati ben più di due “mondi”.
Né deve stupire che il modello sino-russo abbia un enorme potenziale di espansione. In Sud America, in Africa, in tante parti dell’Asia non solo ci sono regimi guidati da governanti che preferirebbero di gran lunga vestire i panni di Xi che non quelli di Biden. Oltre e forse ancor prima ci sono infatti ancora aperte e sanguinanti le ferite del colonialismo occidentale. Il dolore che provocano è così forte da far ritenere a molti che per curarlo basti cambiare padrone. Né deve stupire che nel seno stesso del regime “euro-nippo-americano” la legittima insofferenza per élites predatorie e per la inadeguata attenzione alle ragioni delle comunità locali allargate (nazionali in primis) generi forti proteste ed alimenti una crisi di legittimazione. Non si può dire efficacemente no al modello-stato senza riconoscere altrimenti e più efficacemente il valore della dimensione locale, nella quale si compiono o falliscono alcuni dei principali processi di inclusione. Altrimenti il modello non regge.
Neppure debbono stupire le oscillazioni di tanti frammenti che componevano il mosaico del “mondo” euro-nippo-americano o che si erano avvicinati ad esso. È il caso dell’Indonesia (un paese che colpevolmente la opinione pubblica italiana tende a sottovalutare), ma – è cronaca di questi giorni – è anche il caso della Francia. È il caso del più grande paese e della più grande democrazia del pianeta, l’India. È il caso della forse più importante autorità non politica del pianeta, il Vaticano, il quale sta pian piano passando dall’evangelico non far differenza tra persone all’inedito (per il magistero cattolico) non far differenza tra regimi ben differenti ed al far sempre meno questione di diritti e quasi solo questione di pur lodevoli sentimenti.
Prima ci rendiamo conto che il tempo che stiamo vivendo è e sarà segnato dalla competizione tra due “mondi”, meglio sarà. Se non altro per evitare che quella bellica resti l’unica via d’uscita.
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