Gianni Bessi

Paradossi green/ La crisi energetica e le (troppe) norme che l'hanno originata

di Gianni Bessi
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Sabato 22 Gennaio 2022, 00:09

Geopolitica ed economia in questo freddo gennaio  si intrecciano sulle rotte del gas verso l’Europa, mettendo in difficoltà la programmazione energetica a lunga scadenza che, di conseguenza, impatta sulle tasche dei cittadini in maniera considerevole, come abbiamo visto e vedremo ancora di più nel 2022. Oltre ai conseguenti rischi, evidenziati dalla Bce, di nuova inflazione. Fino a prospettive, per ora solo ipotizzate, di innescare una stagnazione stile anni Settanta.

Il concetto che pare guidare le mosse di Germania e Francia, le due locomotive politiche ed economiche europee, è il pragmatismo. Nello specifico, il gas naturale sta diventando sempre più centrale per assicurare la continuità energetica. Forse è questo il motivo per cui i tedeschi non si sanno spiegare come mai un paese che possiede giacimenti consistenti di oro blu stia tergiversando per utilizzarli: la Frankfurther Allgemein Zeitung si chiede come mai l’Italia, che importa circa il 90% di gas all’estero, non attinga alle proprie riserve, facendolo arrivare da molto lontano, con tutte le difficoltà e i problemi di impatto ambientale che ciò comporta.
È una domanda ragionevole, a cui il governo poco tempo fa ha abbozzato una risposta con un piano che punta a incrementare la produzione nazionale a 8 miliardi di metri cubi, raddoppiando le autorizzazioni a estrarre. In ballo ci sono l’efficienza del sistema produttivo, la sicurezza nazionale – più si dipende dall’estero più diminuiscono i margini di autonomia – e ovviamente i conti correnti degli italiani. 

Ma occorre far presto visto la nostra solita incerta agenda politica: l’argomento della necessità di far ripartire lo sfruttamento del metano è stato lasciato cadere troppe volte.

Agganciamoci alla domanda del quotidiano tedesco e prendiamo come esempio la Germania, dove i Verdi hanno messo mano al programma di governo, e si vede bene: il documento prevede che durante la transizione energetica il ruolo centrale sia ricoperto dalle fonti rinnovabili eoliche e fotovoltaiche, con importanti target, ma anche investimenti per le nuove centrali a gas di ultima generazione. Non si tratta di avere una vocazione all’inquinamento o alla distruzione dell’ambiente, quindi, ma di banale pragmatismo. 

Un pragmatismo derivante dalla cultura protestante con cui i paesi del nord Europa affrontano le crisi. Non sempre magari, ma ci provano. Il caso più recente, e restiamo sempre nel campo energetico, è quello del Nord Stream 2, la pipeline che dovrà trasportare ulteriori 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno dai giacimenti russi fino all’Europa. I tedeschi l’hanno fortemente voluto – ma anche i francesi, se è vero che nel capitale è presente anche il gruppo Engie – e lo stanno difendendo anche di fronte alle minacce di Mosca di risolvere la crisi Ucraina con la forza.

La scelta sta mettendo in crisi i rapporti interni al governo tra Verdi e Socialdemocratici e Liberali? Forse è vero il contrario. La causa è comunque riconducibile al pragmatismo dei Verdi, che da Fischer in poi hanno abbandonato uno dei due totem su cui sono nati, il no alla Nato, mentre l’antinuclearismo resta. Stanno puntando i piedi mettendo in guardia gli alleati sulla pericolosità di consegnarsi a Putin per mantenere l’efficienza del sistema industriale tedesco.

Ma, appunto, non contestano il ruolo del gas naturale visto anche il programma che hanno sottoscritto.

Venendo alla Francia, la concretezza sta consigliando il governo ad affiancare il gas, come fonte energetica al nucleare, che sarebbe rilanciato grazie a centrali di nuova generazione e dimensione. Una scelta confermata anche dal ruolo che il “champion national” transalpino dell’energia mondiale, la Total, ricopre nel progetto del rigassificatore di GNL nella penisola artica di Yamal in Russia.

È la dura legge della trappola energetica, come la chiamava Leonardo Maugeri, cioè il paradosso che si viene a creare quando la società diventa più energivora e allo stesso tempo chiede di avere bassi costi ma anche a gran voce un ambiente più pulito. L’utilizzo per la produzione delle sole rinnovabili come unica soluzione non è purtroppo ancora a portata di mano: servono tecnologie che vengono sviluppate e sperimentate ogni giorno ma non ancora pronte. 

Il sistema energetico ha però bisogno di essere stabile, tutte le ore del giorno, nel senso che non possono sussistere momenti in cui la distribuzione cala: immaginiamoci i guasti a livello produttivo e di sicurezza in tutti i campi. Lo stabilizzatore più efficace, soprattutto perché è la fonte fossile meno inquinante, è il gas naturale. Anche perché, vista la normativa in essere - è bene ricordarlo - il prezzo del KWh, nonostante la crescita della percentuale di produzione derivante dalle rinnovabili, continuerà a essere stabilito in funzione del gas. E quand’anche nell’ipotesi futura calerà il suo utilizzo, se le norme resteranno quelle attuali il suo ruolo di formatore del prezzo non verrà mai meno: ovvio che questo ha conseguenze geopolitiche.

Ciò suggerisce una riflessione importante: ecco perché con il nuovo anno abbiamo ricevuto dalla Commissione europea la proposta di una nuova tassonomia, ovvero il documento che elenca le attività green con l’inserimento del gas naturale e del nucleare. Nella sintesi sembrerebbe composta da soluzioni sensate, almeno vista la situazione, ma bisogna fare attenzione perché il diavolo sta nei dettagli. La policy europea della transizione, così come si sta componendo, non è solo un indirizzo “politico” su come contrastare il cambiamento climatico, ma è una costante e rapida stratificazione di norme che sta creando enormi contraddizioni e contiene parti non trattate. Tra Tassonomia, Red II/III, normativa Green Gas, Hydrogen strategy, eccetera, rischia di perdersi anche il più esperto navigatore della burocrazia di Bruxelles. E questo metodo che privilegia la definizione di una transizione energetica che è prima di tutto normativa, ha esternalità pericolose, come la sistematica penalizzazione anche tra le rinnovabili delle componenti biogeniche (rifiuti), siano esse biometano, idrogeno o altro. 

Ebbene, questo dietrofront ideologico è la riprova che anche la Commissione guidata dalla signora von der Leyen ha capito benissimo come la parte strutturale di questa crisi energetica sia stata provocata anche a livello normativo, mentre quella congiunturale è figlia del mercato. 
Italia o Europa, è il tempo delle scelte pragmatiche. E fatte in fretta. Germania e Francia le hanno già fatte.

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