Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Uscire dal Covid/ La necessità che abbiamo di tornare alla normalità

di Paolo Balduzzi
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Giovedì 16 Settembre 2021, 00:00

Il governo guidato da Mario Draghi sembra rompere finalmente gli indugi e, seguendo l’esempio tracciato ormai da tempo da diverse imprese, dovrebbe introdurre l’obbligo di green pass per tutti i lavoratori, dalla pubblica amministrazione al settore privato. È una scelta importante, forse finalmente decisiva verso il ritorno alla normalità.

Una normalità certamente diversa da quella precedente al covid, gradualmente fuori dall’emergenza ma ancora condizionata da limitazioni per garantire la più elevata sicurezza possibile. Restano tuttavia sul tavolo alcune questioni che andrebbero definitivamente affrontate. Innanzitutto, ci si augura che il provvedimento sia chiaro, esplicito e poco interpretabile. Norme incerte e ambigue sono più difficili da applicare, espongono le imprese, e anche la stessa pubblica amministrazione, al rischio di possibili ricorsi. Osservando la posizione di qualche sindacato, c’è infatti da stare sicuri che questi non mancheranno. È stupefacente che dei provvedimenti con l’obiettivo di tutelare la salute dei lavoratori trovino l’opposizione proprio di chi, dei lavoratori, dovrebbe curare gli interessi. C’è una pandemia in atto; i governi reagiscono fornendo vaccini gratuiti e introducendo meccanismi di tutela della salute privata e pubblica. Eppure, c’è chi si oppone e minaccia ritorsioni, blocchi, denunce. 

Qualcuno sogna di tornare a riempire le strade, le scuole, gli uffici; qualcun altro, evidentemente, preferisce provare a riempire le scrivanie dei giudici del lavoro. In secondo luogo, non bisogna mettere a rischio l’obiettivo della crescita economica. Sia chiaro: l’economia non misura tutto ciò per cui vale la pena vivere; però offre una visione sulle prospettive di benessere materiale di un paese e di una società.

Un Paese che non cresce o che stenta a farlo è un paese che avrà difficoltà a fornire ciò che serve ai cittadini: scuole, ospedali, assistenza, pensioni. Per questa ragione, è arrivato il momento di mettere in discussione anche la validità assoluta del lavoro a distanza (smart working). Che è stato sicuramente una grande conquista di questo periodo: ma che non può e non deve avere un valore fine a se stesso. Così come è impossibile (e ingiusto) eliminare tutto ciò che di buono abbiamo imparato a fare durante questo anno e mezzo, allo stesso modo dobbiamo riconoscere le debolezze delle nuove modalità di lavoro.

Ci sono ambiti in cui il lavoro a distanza ha funzionato e funziona ancora, ma altri in cui è stato solo un tampone all’emergenza, all’impossibilità di riunirsi fisicamente. Questo vale sicuramente per le scuole e i luoghi di istruzione e cultura, ma anche per tante aziende che hanno registrato e certificato un calo di produttività proprio dovuto allo smart working. Ciò vale anche, e forse soprattutto, nella pubblica amministrazione. Per questa ragione, e tornando al decreto del governo, il lavoro a distanza non potrà semplicemente diventare la via di fuga di chi rifiuta vaccino e green pass, non potrà diventare un diritto acquisito a fronte del rifiuto di ottemperare ad un dovere, che è quello di osservare le leggi. 

Non sarà una decisione facile. Primo perché non tutte le aziende sembrano pronte, normativa alla mano, a riaccogliere tutti i lavoratori. Secondo, perché è il Governo stesso a confermare che lo stato di emergenza, con il relativo invito a fare a distanza tutto ciò che si può a fare distanza, durerà fino a tutto il 2021. L’importante, quindi, è stabilire il principio, che sarà poi adeguatamente applicato quando i tempi e le condizioni sanitarie lo permetteranno. Infine, andrebbe deciso una volta e per tutte che i tamponi, salvo ovvie eccezioni, dovranno essere a carico dei lavoratori che non vogliono vaccinarsi.

Se per uscire dall’emergenza ognuno deve fare la sua parte, non si capisce esattamente quale sia il contributo di chi si oppone per partito preso ad ogni tentativo del governo di farlo. Fare di testa propria non si chiama democrazia, bensì anarchia. Democrazia è vivere in un contesto dove si accetta che ci siano dei diritti e dei doveri, e dove queste norme si osservano. Dove ci si può battere per cambiarle, se non piacciono. E dove lo si può fare proprio perché quella libertà che sembra negata è invece totalmente garantita. A nessuno piace portare la mascherina, limitare i propri movimenti, circoscrivere le proprie frequentazioni. Ma ancora troppo poche persone hanno fatto il passo necessario per liberarci da questi vincoli. 
Se il nuovo decreto del governo andrà nella giusta direzione, quel momento di libertà sarà sempre più vicino.

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