Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

La lotta al virus/ Quella scelta obbligata tra interesse e bene comune

di Vittorio Emanuele Parsi
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Mercoledì 10 Marzo 2021, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 12:05

La decisione di Mario Draghi di bloccare le esportazioni del vaccino di AstraZeneca dirette in Australia è un gesto dal valore importante ma poco più che simbolico: 250 mila dosi rappresentano un ruscello rispetto ai molti milioni di dosi promesse e non consegnate agli Stati della Ue da parte dei colossi del farmaco. Mentre mostrano la determinazione e l’irritazione del governo, denunciano contemporaneamente la drammatica escalation della terza ondata della pandemia.

La Commissione ha dichiarato di appoggiare la mossa delle autorità italiane. 
E del resto, considerato il pasticcio che è riuscita a combinare nella gestione delle relazioni con le multinazionali di Big Pharma, non avrebbe potuto fare altrimenti.

Com’è noto, gli inglesi si sono irritati. Grande sostenitore dei mercati aperti, dopo la Brexit Boris Johnson non può che vedere con grande timore un’attenuazione del liberoscambismo da parte dell’Unione e non poteva tralasciare l’occasione per proporre l’immagine di un “governo di Sua Maestà” particolarmente attento ai diritti dei Paesi del Commonwealth. Sappiamo bene, del resto, quanto la “nostalgia imperiale” (selettiva, ovviamente) abbia giocato un ruolo decisivo nel gonfiare le vele del “leave” ai tempi del referendum. 

A Bruxelles c’è comunque nervosismo. Non tutti i governi europei sono infatti allineati sulla posizione di Draghi e tra gli Stati membri si sta diffondendo una propensione a procedere in ordine sparso: l’Ungheria ha già introdotto il vaccino russo Sputnik, (che pare tra l’altro essere molto efficace), Danimarca e Austria hanno stretto un accordo con Israele (alla cui esperienza guardano con molto interesse anche per le analoghe dimensioni demografiche e territoriali). C’è poi il fatto che al suo esordio al vertice di pochi giorni orsono, Mario Draghi si sarebbe opposto alla proposta franco-tedesca di donare subito 13 milioni di dosi vaccinali ai Paesi africani (stando a Le Monde). La posizione della Commissione Ue – in questo allineata con gli Stati Uniti e con le richieste dell’Oms – era invece di fare un gesto (anche qui poco più che simbolico) per diffondere i benefici della vaccinazione al di fuori del ricco Nord.

A testimonianza di quanta “politica”, nella sua accezione più alta, sia in gioco sulla questione della campagna vaccinale e come l’emergenza pandemica consenta un concreto ripensamento dei rapporti tra interesse generale e interessi particolari credo torni utile ricordare come nei giorni scorsi il presidente Joe Biden abbia assunto una decisione particolarmente significativa: “invitando” Merck a mettere a disposizione della concorrente Johnson & Johnson due dei suoi stabilimenti, così da consentire una decisiva accelerazione nella produzione del nuovo vaccino.

Pure questo un gesto dal forte connotato dimostrativo, ma dalle conseguenze concrete molto evidenti. 

È il modo con il quale il decisore pubblico pone rimedio a un “fallimento del mercato”, ovvero all’incredibile ritardo con cui l’industria farmaceutica si è mossa rispetto alle indicazioni della ricerca, che da oltre un decennio ammoniva sulla necessità di prepararsi al rischio di una pandemia globale di tipo Sars 2 e chiedeva che Big Pharma investisse in quella direzione. Richiesta rispedita al mittente per la sua bassa redditività. 

Per evitare il riproporsi di nuove situazioni consimili, l’economista italiano Massimo Florio ha proposto in queste settimane la creazione di una BioMed europea – sulla falsariga del Cern o dell’Esa – in grado di studiare, produrre e distribuire farmaci e vaccini che il mercato non produce a sufficienza se non “a emergenza conclamata”.

Nel frattempo l’Oms sostiene la mozione presentata in ambito Wto da India e Sudafrica per una moratoria temporanea sui brevetti per i vaccini e i farmaci anti-Covid. Nuovamente, siamo di fronte a un gesto insieme simbolico e concreto: un segnale che andrebbe nella direzione opposta rispetto al “sovranismo vaccinale” (che era poi una delle tante strategie invocate da Donald Trump): quella indicata peraltro anche da Papa Francesco, a favore invece di una solidarietà globale per sconfiggere un nemico comune del genere umano. Si tratta di scegliere se penalizzare (relativamente peraltro) gli interessi delle conglomerate finanziarie che posseggono le varie aziende farmaceutiche multinazionali o le persone. Una scelta eticamente facile e politicamente complessa. Ma questa è la posta in gioco.
 

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