Ferdinando Adornato
Ferdinando Adornato

Cosa significa il 9 maggio per l’Europa

di Ferdinando Adornato
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Sabato 7 Maggio 2022, 01:10

Non c’è solo il 9 maggio di Mosca. C’è anche il 9 maggio dell’Europa. La Russia celebra la vittoria sul nazismo: e si temono altre minacciose mosse di Putin. Per noi, invece, è il giorno, prescelto da tempo dall’Ue, come “festa dell’Europa” per ricordare la famosa “dichiarazione Schuman” con la quale il ministro degli esteri francese annunciò, il 9 maggio del 1950, la nascita della “comunità europea del carbone e dell’acciaio”.Il primo passo dell’Unione. C’è un forte legame tra queste due date: nel 1945, dopo lo sbarco alleato in Normandia, con la sconfitta di Hitler in Russia, si scrisse la fine della Seconda Guerra mondiale. Cinque anni dopo, i nostri Padri Fondatori annunciarono il sogno di bandire definitivamente nazionalismi e atrocità dalle terre d’Europa. Troppe guerre avevano già devastato il continente, e avevamo poi superato ogni limite “inventando” i totalitarismi, brutalizzando libertà e umanità proprio nella culla della democrazia. In definitiva noi europei eravamo stati i portatori della più potente cultura universale della libertà ma, insieme, anche gli alfieri di un’interminabile teoria di guerre fratricide. Era ora di dire basta. Per sempre. 

La pax europea è durata oltre 70 anni. Ma, in questo 2022, il cuore del continente è tornato a sanguinare. Stavolta per mano degli eredi di Stalingrado che, sostituendo la paranoia alla diplomazia, continuano a vedere nazisti anche dove non ci sono.  Forse, come in una sorta di nemesi storica, tornano a pesare le contraddizioni del “paradosso di Yalta”, un patto siglato insieme dalle democrazie e da uno Stato totalitario. Come se oggi ciò che è morto allungasse ancora le sue mani su ciò che è vivo. Forse. Sta di fatto che il mondo è di nuovo a rischio. Perciò, oltre ad attendere con ansia il 9 maggio di Mosca, sarebbe il caso di riflettere con lucidità sul 9 maggio europeo. Il fatto è che le cupe incognite sul nostro destino impongono, come ha detto Draghi a Strasburgo, un salto di qualità alla costruzione unitaria. Il XXI secolo può e deve diventare anche “un secolo europeo”. Ma, per aspirare a un ruolo mondiale assieme a Usa e Cina, ciò che abbiamo fin qui fatto non è sufficiente.

L’Europa ha saputo reagire unita alla pandemia, così come oggi reagisce unita alla guerra smentendo tutti coloro che scommettevano sulla sua inconsistenza. Ha rialzato la testa dalla palude delle burocrazie e delle liti di cortile. Ma, appunto, si è trattato di “reazioni” ad eventi avversi, certo straordinariamente efficaci come il “next generation Eu”: ma non ancora di “azioni” progettuali.

E sulle sanzioni energetiche già si vedono nuove divisioni pungere, in primis con la spina ungherese. D’altro canto, le elezioni di Parigi ci hanno ricordato come sovranismi e populismi incombano tuttora a minacciare l’Unione. Ecco perché la storia ci chiede un salto di qualità. Esso era, del resto, già scritto nella dichiarazione Schuman che preconizzava “una federazione europea indispensabile al mantenimento della pace”. Per arrivarci davvero occorre predisporre due svolte storiche. La prima riguarda il corpo dell’Unione, il suo assetto istituzionale. Se si vuole lavorare sul serio per l’autosufficienza energetica e alimentare, per il cambiamento climatico, per una politica comune sui rifugiati e, soprattutto, se si vuole disporre di una sola politica estera e di difesa (che preveda un solo esercito) bisogna rivedere i meccanismi di decisione. Superando, intanto, l’obbligo dell’unanimità in favore di scelte “a maggioranza qualificata” e puntando, poi, a rendere i cittadini protagonisti della scelta degli organi dell’Unione, anche eleggendone direttamente il Presidente. 

La seconda riguarda l’anima dell’Unione, la sua identità. Non c’è vera federazione, infatti, che non si fondi su una comune visione dei propri valori, ciò che Draghi ha chiamato “federalismo ideale”. Qui pesa il rifiuto opposto, nel 2003, dalla convenzione di Giscard d’Estaing a considerare il Cristianesimo, assieme all’Illuminismo, come uno dei motori portanti dello spirito europeo. Mentre è del tutto evidente che, se dici Europa, dici nello stesso tempo Dante e Leonardo, San Francesco e Voltaire, Shakespeare e Einstein. E dici anche Dostoevskij. 

Comune identità e comune statualità. Queste le mosse fondamentali per realizzare il sogno dei Padri fondatori, una federazione di Stati, gli Stati Uniti d’Europa, una “nazione delle nazioni”. Non ci si può certo illudere che tale svolta sia dietro l’angolo. Ma bisogna che leadership europee capiscano che è un obiettivo da raggiungere “whatever it takes”, perché è l’unico futuro possibile. Viceversa i nazionalismi torneranno ancora a minacciare il continente. L’unità dell’Europa si sta rivelando decisiva contro questa guerra. Se sapremo portarla a compimento essa diventerà il principale antidoto contro tutte le guerre. 
 

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