Cesare Severino* e Paola Severino**

Ora va rafforzato il pianeta sanità

Ora va rafforzato il pianeta sanità
di Cesare Severino* e Paola Severino**
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Giovedì 21 Maggio 2020, 07:12
Era opportuno attendere che l'acme della pandemia da coronavirus si attenuasse prima di affrontare i problemi che questa emergenza ci ha svelato e per proporre un ragionamento meno influenzato dalle emozioni, volto a pensare a come affrontare il dopo. Da parte di tanti si dice infatti che nel futuro nulla sarà più come prima; meglio sarebbe dire, almeno in questo settore, che nulla deve essere più come prima.

L'epidemia, infatti, da un lato ha messo in luce la grande professionalità e lo spirito di sacrificio dei nostri medici e del personale sanitario, che hanno lavorato e lavorano con turni massacranti, affrontando tutti i rischi connessi, fino, per alcuni di loro, al sacrificio della vita nell'esercizio delle funzioni. Da un altro lato, ha evidenziato, purtroppo in modo drammatico e a costo di tante vite umane, le falle organizzative e progettuali del nostro sistema sanitario. Nel corso degli anni, infatti, vi è stata una progressiva erosione della efficienza del sistema, dovuta al concorrere di varie cause.

In primo luogo, la progressiva riduzione delle risorse economiche, a fronte di costi crescenti sia per apparecchiature sempre più sofisticate, sia per nuove terapie farmacologiche spesso molto dispendiose. In secondo luogo, la cronica carenza di personale, legata in parte al blocco delle assunzioni e in parte a valutazioni erronee sulle reali necessità. La conseguenza è stata la demotivazione delle risorse umane presenti, costrette a turni defatiganti e alla rinuncia reiterata a parte delle ferie pur di far funzionare i reparti, fino a portare ad un diffuso pensionamento anticipato di medici esperti, a volte sostituiti poi in fretta e furia, all'insorgere della pandemia, anche con neo laureati e neo diplomati.

All'apprezzamento per il loro coraggio nell'affrontare rischi enormi non può non affiancarsi l'amara considerazione che il ricorso per tanti anni ad un numero chiuso programmaticamente inadeguato abbia impedito una più graduale sostituzione e formazione sul campo. In terzo luogo, il deficit della assistenza territoriale, che è invece indispensabile per completare o sostituire il ciclo di ricovero ospedaliero. Si pensi alla assistenza domiciliare, alle residenze sanitarie assistite, all'hospice per malati oncologici terminali ed alla importanza di una corretta distribuzione di questi fondamentali servizi, anche per compensare la pur necessaria e doverosa chiusura dei piccoli ospedali.

Last but not least, una progressiva burocratizzazione nella gestione ospedaliera, sempre più affollata di adempimenti amministrativi e governata da direttori generali a volte più preoccupati del risparmio che dello sviluppo di presìdi adeguati. La conseguenza di ciò è stata un dialogo sempre più difficile tra la struttura e i dirigenti medici, oberati di pratiche da compilare, da problemi di turni impossibili, dalla necessità di coprire comunque responsabilmente le esigenze di reparto. Fino al punto da giungere ad una assoluta assenza di dialogo tra i vertici amministrativi e il personale sanitario e e addirittura al sostanziale divieto di diffondere al di fuori dell'ospedale qualunque notizia circa la situazione interna, se non attraverso il filtro dell'ufficio stampa. Siamo lontani anni luce da un modello in cui al consiglio dei primari erano attribuite rilevanti funzioni consultive su materie di competenza medica e siamo altrettanto distanti da un equilibrio di impostazioni indispensabile per coniugare esigenze di bilancio con esigenze di efficienza nella cura di malati.

Cosa c'è da aspettarsi nel futuro? In linea generale, che le esperienze che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo abbiano ispirato validi insegnamenti sia sugli errori del passato, sia su alcune linee programmatiche per il futuro. In primo luogo, la necessità di un coordinamento tra Stato e Regioni anche in materia di Sanità. Non si può pensare che la distribuzione territoriale degli Ospedali debba continuare ad avvenire su sola base regionale, senza tener conto di una migliore distribuzione territoriale nazionale. Il confine tra una Regione e l'altra non può essere un limite invalicabile, laddove si vogliano evitare inutili duplicazioni o vuoti di copertura al limite tra l'un territorio e l'altro.

Alla pluriennale carenza di personale infermieristico e medico cui si è posto solo parziale rimedio in extremis, occorrerà contrapporre una progettazione meditata e a lungo termine su una corretta distribuzione tra reparti che hanno necessità trascurate per anni. Sempre ad una progettazione di largo respiro ci si dovrà ispirare nel sopperire alla pur condivisibile chiusura dei piccoli ospedali con presidi territoriali adeguati a far fronte alle tante esigenze terapeutiche risolvibili a livello domiciliare.

La stessa figura del medico di base dovrebbe essere riqualificata, dopo la considerazione, condivisa da molti, che la maggiore diffusione del virus in alcune aree del nord Italia abbia avuto tra le sue concause l'eccessiva ospedalizzazione conseguente alla mancanza di questo primo e fondamentale presidio medico-preventivo. Infine, occorrerà nuovamente porre mano ad una legislazione che, oltre a ridurre la burocrazia, tuteli il buon funzionamento dell'intero sistema sanitario. L'eccesso di denunzie contro medici spesso chiamati a rispondere non per loro negligenza, ma solo per l'esito infausto delle cure, appare destinato a raggiungere presto un altro picco, per il prevedibile aumento di rivendicazioni giudiziarie a seguito delle numerosissime morti verificatesi a causa della pandemia.

Con esiti molto incerti e che gli avvocati dovrebbero a volte sconsigliare, in considerazione della eziologia e della evoluzione tuttora sconosciute della malattia. Con due soli risultati sicuri : la demolizione di un sistema sanitario già devastato dai danni della cosiddetta medicina difensiva, e cioè dall'aumento di attività diagnostiche non necessarie, ma proiettate nella logica di una difesa anticipata delle ragioni che hanno giustificato la scelta del trattamento. E il tramonto definitivo di quella figura, ormai quasi dimenticata, del medico che conosceva tutta la tua storia di vita e che ti indirizzava nelle cure utilizzando la propria scienza medica, dialogando con il paziente e con i suoi familiari, piuttosto che limitarsi a prescrivere liste sempre più lunghe di esami, parte dei quali utili solo a prevenire possibili problemi giudiziari. Se è vero che questa immane tragedia ha portato morte e dolori immensi tra le nostre famiglie, facciamo almeno in modo che da essa nascano nuove energie per affrontare con il dovuto impegno i problemi che riguardano il nostro bene più prezioso: la salute.

*Medico pneumologo
**Professore di diritto penale
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