Pio d'Emilia
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Cina, nuova legge: solo scuole pubbliche

Cina, nuova legge: solo scuole pubbliche
di Pio d'Emilia
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Lunedì 30 Agosto 2021, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 15 Settembre, 00:10

In Oriente le scuole sono già aperte da un paio di settimane, anche se per via delle varie disposizioni non tutte lavorano a pieno ritmo. In Giappone ad esempio molte prefetture (regioni) hanno deciso di lasciare i bambini a casa – creando non poche difficoltà ai genitori, in un Paese dove lo “smart working” è ancora una chimera – mentre in Cina nelle grandi città come Pechino e Shanghai si stanno sperimentando nuove forme di controllo all’entrata.

L’ultima novità – per i più piccoli – è una sorta di robot paramedico che intrattenendo il bambino con cartoni e smorfie varie effettua un sommario check-up. Se qualcosa non va comincia a bippare e il bambino viene affidato alle cure del personale sanitario per ulteriori accertamenti. In rete circolano video non del tutto rassicuranti, con i bambini che sembrano più terrorizzati che divertiti. Ma vabbè, si abitueranno.
Ma in Cina non ci sono solo le regole anti-Covid da rispettare. C’è ben altro. La nuova riforma scolastica, attesa da anni e finalmente approvata dalla Commissione Permanente del Politburo, organo supremo dello Stato, lo scorso 24 luglio. 


In Cina la chiamano “riforma del K-12”, in riferimento ai 12 anni della scuola dell’obbligo, ed è destinata a rivoluzionare non solo la vita delle famiglie, ma anche il loro reddito. Di che si tratta? Formalmente, del ripristino del concetto di scuola pubblica e di responsabilità dello Stato di garantire l’istruzione gratuita e uguale per tutti. Concetto che è sempre restato presente sulla carta ma che negli ultimi anni, con il proliferare non tanto delle scuole private (alcune delle quali internazionali) quanto delle cosiddette “scuole di approfondimento”, o “doposcuola”, era stato di fatto superato e violato.

Circa il 50% dei bambini cinesi – compresi quelli che vanno all’asilo, erano coinvolti in qualche forma di istruzione aggiuntiva, con le percentuali che nelle grandi città raggiungevano anche l’80%. Un fenomeno presente anche in altri Paesi (soprattutto in Giappone, i famosi “juku”) ma che in Cina, oltre che a rovinare la vita dei genitori e imporre ritmi allucinanti ai figli, aveva creato un indotto di oltre 70 miliardi di dollari, destinato, quest’anno, a raddoppiare.

Tutto questo perché essendo gli esami di ammissione alle scuole superiori e soprattutto alle università – i famigerati “gaokao”– particolarmente duri e selettivi, i genitori ritenevano indispensabile offrire – meglio sarebbe dire, imporre – ai propri figli attività di studio supplementari, spesso a costi esorbitanti. Basti pensare che per le “scuole di approfondimento” più esclusive e gettonate un’ora di “lezione” – anche on line – poteva arrivare a 3000 yuan, l’equivalente di 300 euro. Un “problema sociale”, l’aveva definito già due anni fa il leader cinese Xi Jinping, che oltre ad imporre oneri spesso insopportabili per le famiglie (e non solo di tipo finanziario, anche “logistico”) e di sovra-affaticamento psicofisico per i bambini, stava regalando enormi profitti per alcune aziende private in un settore delicato come quello della pubblica istruzione. 


Tutto questo, d’ora in poi, non succederà più.

La nuova legge, già entrata in vigore, mette al bando qualsiasi forma di insegnamento “a scopo di lucro”. Le società del settore – alcune delle quali veri e propri colossi quotati in borsa, come Duolingo, VipKids e Taleducation – hanno immediatamente reagito licenziando i loro “docenti” e stanno ora affrontando la difficile e complicata battaglia per i risarcimenti. Il business era talmente fiorente che per assicurarsi un posto nei vari corsi molte famiglie avevano sottoscritto lunghe e onerose pre-iscrizioni, e non sarà facile ora per loro ricevere i rimborsi. Una società con sede a Hong Kong, la Youwin, pare sia già “sparita” con la cassa: oltre un milione e mezzo di dollari.


Difficile per ora prevedere l’impatto di questa nuova, “storica” riforma. La stampa cinese, in vario modo controllata dal partito, ne va celebrando i meriti, raccogliendo testimonianze di genitori entusiasti per l’evidente alleviamento sociale ed economico. E non c’è dubbio che se si effettuasse un sondaggio tra i bambini, di ogni età ed estrazione sociale, il verdetto sarebbe unanime. Volete mettere uscire da scuola per andare a casa a giocare o schiaffarsi davanti alla Tv, piuttosto che trasferirsi in un’altra scuola con ritmi di “insegnamento” ancora più rigidi e pesanti? L’insegnamento supplementare, in certi casi, costringeva certi bambini ad uscire di casa alle 7 di mattina e tornarvi alle 7 di sera. 


Ma c’è anche il concreto rischio che questa riforma, come tante altre, sia più di facciata che sostanziale. Con le famiglie più abbienti disposte ad alimentare un mercato nero già fiorente. Il Global Times di recente ha riportato, nello stile riservato alle retate contro la prostituzione o le bische clandestine, l’arresto di un “precettore” privato sorpreso a dare ripetizioni a domicilio, denunciato dai vicini. “Fino a quando gli esami di ammissione all’università non saranno meno selettivi, le famiglie faranno tutto il possibile per garantire il successo dei loro figli – scrive sul quotidiano di Hong Kong un noto editorialista locale, Xion Bingqi – e questo rischia di aggravare, anziché risolvere, il “problema sociale”, giustamente individuato dalle autorità”. Nel frattempo, per i bambini cinesi la vita sarà meno stressante e faticosa, su questo non c’è dubbio.
 

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