Vittorio E. Parsi
Vittorio E. Parsi

Stop a big pharma/ L'altruismo degli Usa che rallenta la pandemia

di Vittorio E. Parsi
4 Minuti di Lettura
Venerdì 7 Maggio 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 00:19

Con la sua dichiarazione a favore della sospensione dei brevetti sui vaccini anti-Covid 19, il presidente americano Joe Biden ha dato al mondo un esempio di come la forza dell’esempio sia un fattore decisivo per riconquistare la leadership politica e morale del sistema internazionale. Ha anche fatto intendere che la cosiddetta “geopolitica dei vaccini” non può seguire il frusto cliché di un vecchio e male inteso “realismo”: vince invece chi è capace di uscire da una logica a somma zero, in cui gli Stati usano i vaccini come se fossero armi. Ha infine incastonato un altro elemento nella sua visione della società americana: una visione apertamente progressista, che non ha timore di affrontare il drastico riequilibrio dei rapporti tra politica e affari. Dove alla prima spetta l’onere di indicare gli obiettivi e fissare i limiti, assumere cioè la responsabilità di garantire il campo e le regole in cui il gioco della competizione economica si svolge.

È il complemento internazionale del discorso del 29 aprile, nel quale Joe Biden aveva attaccato le grandi corporations, accusate di avere accumulato profitti stratosferici ed eluso le tasse nello stesso anno in cui decine di migliaia di americani e americane perdevano la vita e milioni di posti di lavoro. Una nuova forte affermazione di come, nella sua visione, la dimensione domestica e quella internazionale siano connesse e interdipendenti, senza che questo implichi necessariamente l’impotenza dei governi e la loro sudditanza verso i titolari di grandi interessi finanziari. 

Dopo i giganti dell’economia virtuale e digitalizzata è il turno di big pharma – i settori che la pandemia ha reso sempre più ricchi – a dimostrazione che la prima condizione del cambiamento è la volontà di perseguirlo.
Si dirà che la decisione americana è stata volta ad azzerare il vantaggio in termini di soft power che Russia e Cina avevano accumulato in questi mesi, con la loro tempestiva fornitura di vaccini dal costo inferiore ai Paesi stranieri che ne facevano richiesta. Non c’è dubbio. Ma ha messo contemporaneamente in evidenza i vantaggi delle società aperte e delle istituzioni democratiche su quelle autoritarie. Il vaccino cinese sembra poco efficace e con gravi effetti collaterali. Quello russo è esportato generosamente, ma la percentuale di cittadini russi inoculati è irrisoria. Rendere disponibili a un prezzo ripulito dagli “extra-profitti di guerra” (la guerra alla pandemia) i vaccini americani significa poter inondare il mondo dei molti miliardi di dosi che sono necessarie per arrestare la diffusione del virus.

E costringe tutti a seguire la mossa americana. 

Non è un caso che – d’incanto – i Paesi europei e la stessa Unione abbiano deciso di abbandonare la stolida difesa assoluta di questo particolare “diritto di proprietà”, sulla quale si erano arroccati con Stati Uniti, Giappone e Canada in sede Wto, a fronte della richiesta indiana e sudafricana di una moratoria della validità dei brevetti, dettata dalla drammatica emergenza planetaria.

Come ha ricordato Ursula von der Leyen, «l’Europa sta già esportando vaccini, l’America no». Ma qui il problema è quello di poter consentire la vaccinazione dei miliardi di abitanti del Sud del pianeta, i quali, a questi prezzi e con questi quantitativi di produzione, rischiano di aspettare almeno fino alla fine del 2022. Il che implicherebbe la possibilità per il virus di continuare a mutare, tornado così a colpire anche le popolazioni già vaccinate (negli Usa la stima credibile è del 70% per il 4 di luglio). 

L’altruismo è la sola strategia intelligente di fronte a una pandemia globale. E può essere imposto a manager e azionisti recalcitranti delle grandi compagnie produttrici dalla volontà politica, per una volta capace di incrociare l’interesse generale dell’umanità per un bene pubblico comune come la salute e le decisioni dei governi, la cui base di consenso e legittimazione resta nazionale. È un cambiamento di prospettiva radicale rispetto alle tendenze degli ultimi 40 anni. È una speranza per il governo della complessità, rifuggendo dalle illusioni semplicistiche e ricercando piuttosto soluzioni nuove, in cui multilateralismo (tra gli Stati) e cosmopolitismo (tra gli umani) si saldano in una possibile e inedita alleanza. 

Ma soprattutto ci rammenta che l’opportunità di cambiamento è oggi resa possibile proprio dalla magnitudine della crisi, dalla sua natura universale, e indica la direzione verso un “governo” del mondo globalizzato che non continui a sacrificare vite umane sull’altare del profitto ad ogni costo. Possono le democrazie rifiutarsi di cooperare per un nuovo umanesimo inclusivo ed equo, capace di impiegare potere, tecnologia e ricerca a favore del bene comune? Io credo di no.

© RIPRODUZIONE RISERVATA