Stefano Boldrini
​Stefano Boldrini

Bandiere in crisi / Da Maldini a Totti la vita in salita dei calciatori-mito

di ​Stefano Boldrini
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Mercoledì 7 Giugno 2023, 00:13

È l’american way applicata al calcio, bellezze, e prima o poi doveva scapparci il botto. L’addio di Paolo Maldini al Milan, ufficializzato ieri sera «con effetto immediato» è il botto: fa rumore, scatena polemiche, alimenta i dibattiti, infiamma i social, ma non può, onestamente, sorprendere. Fa male, pensando anche ai casi di Del Piero e Totti per citare i più emblematici, ma nel football moderno i sentimenti sono confinati spesso all’ultimo posto della scala di valori. 
Davvero qualcuno pensava che prima o poi con Gerry Cardinale, imprenditore statunitense di origini italiane – i nonni emigrarono a Philadelphia - laurea all’università di Harvard, vent’anni di lavoro alla banca d’affari Goldman Sachs, nel 2014 fondatore del gruppo di business sportivo RedBird, non si sarebbe verificato uno scontro ideologico/culturale come quello che ha estromesso dal club rossonero il simbolo di due decenni di trionfi? Era nella logica delle cose. Semmai, è avvenuto con un anno di ritardo.
Guardare il Chelsea, dove l’avvento di Todd Boehly, avvenuto il 30 maggio 2022, ha azzerato in poche settimane l’establishment precedente. Che poi i Blues abbiano disputato la peggior stagione in campionato degli ultimi 30 anni, questa è un’altra storia: ribadisce il concetto che non bastano i soldi e il piglio dell’imprenditore tuttofare per ottenere risultati eccellenti.
Le proprietà straniere di serie A e B dell’ultima annata sono state 15. La maggioranza sventola la bandiera a stelle e strisce: Atalanta, Fiorentina, Milan, Roma, Spezia, Ascoli, Genoa, Parma, Pisa, Spal, Venezia. Ci sono squadre in mano a signori Usa persino in C (Cesena) e D (Nocerina). Sui social, ieri una volta tanto è apparso un commento crudo, ma realista: «È Gerry che paga l’assegno ai giocatori, non Maldini». 
Il portafoglio non va sempre d’accordo con il cuore e può portare talvolta ad assumere decisioni impopolari come quella di Cardinale. Ha acquistato il Milan in nome del business. Ha presentato a Maldini il conto del mercato fallimentare della scorsa estate e del quinto posto in classifica, divenuto quarto in virtù della sentenza-Juventus. Le differenze ideologiche – Cardinale vuole giovani di prospettiva magari da rivendere a peso d’oro, Maldini preferisce i campioni pronti per l’uso – e magari anche la mancanza di empatia tra i due – succede – ha chiuso il cerchio. 
La filosofia industriale americana è questa: non guarda in faccia nessuno. Conta il risultato, sportivo ed operativo: i sentimenti non esistono. In Italia siamo portati all’eterna mediazione, ma c’è poi l’altra faccia che è quella, nel calcio, rappresentata da fallimenti pesanti del passato che hanno bruciato squadre gloriose e migliaia di posti di lavoro. 
Si può discutere sul sistema degli algoritmi, altro aspetto made in Usa che Cardinale vuole imporre nel Milan: è stato applicato nel baseball, prima o poi doveva accadere nel calcio. Con una considerazione finale di fondo, che non riguarda nel caso specifico Maldini. Non basta essere stati calciatori leggendari per proporsi come dirigenti di alto livello. In Italia parliamo di Del Piero e di Totti, altre bandiere ammainate: dipendesse dai tifosi, sventolerebbero ancora, ma gli imprenditori seguono altre logiche. Resiste quella di Zanetti all’Inter, ma il proprietario è un cinese. La certezza è che bisogna studiare, spogliarsi dell’abito da calciatore e avere l’umiltà di ripartire da zero per candidarsi al ruolo di dirigenti top. Gli statunitensi pretendono competenze e risultati. E’ l’American way: prendere o lasciare. E pensando a Totti, riflessione finale: i Friedkin sono sbarcati a Roma nell’estate 2020 e Francesco non è ancora tornato nella casa madre. 
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