Virman Cusenza

Coronavirus. Azzerare i giochi, il Paese è uno - L'analisi di Virman Cusenza

Coronavirus. Azzerare i giochi, il Paese è uno di Virman Cusenza
di Virman Cusenza
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Venerdì 1 Maggio 2020, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 14:55

È bastato il minimo schiudersi di uno spiraglio, l'allentamento della morsa che ci ha accompagnato per mesi, per rischiare di disperdere un risultato importante. Sintetizzabile così: ciò che per settimane ci ha visto uniti dalla paura dei tanti, da qualche giorno ci vede divisi dalla follia dei pochi. Dalla complicata gestione dell'emergenza Coronavirus, possiamo trarre perciò una sintetica lezione.

La prima è che lo Stato è l'unico organismo, l'unica entità in grado di garantire tutti. Non è un totem ideologico ma concretamente l'ombrello largo in grado di proteggere e garantire i cittadini di ogni latitudine e grado. Abbiamo assistito nelle ultime ore ad uno spettacolo sconfortante: governatori che con gesti impulsivi, quanto figli di un furore demagogico, hanno cercato di allentare le disposizioni emanate dal governo. È successo in quelle Regioni del Nord che pure non avrebbero titolo, proprio per il naufragio della gestione sanitaria, e nemmeno giustificate condizioni per un azzardo del genere. Ma è successo anche da parte di Regioni in cui l'indice del contagio è particolarmente basso, ma non per questo in una condizione sufficiente ad infrangere un criterio tutelante nei confronti di tutti.
Le Regioni possono derogare in senso restrittivo ai criteri dati dal governo a garanzia generale, ma non per allentare le maglie rischiando di mettere a repentaglio le stesse comunità che governano. Abbiamo assistito anche ad una paradossale divisione del fronte da parte delle 11 Regioni governate del centro destra che l'altro ieri hanno lanciato un appello al capo dello Stato, chiedendo con urgenza un suo intervento affinché si potessero mitigare le restrizioni volute dal Dpcm del governo. Ebbene quello stesso fronte, a riprova che davanti a problemi veri gli steccati di appartenenza sono parole vuote, pochi minuti dopo si è diviso e frammentato al suo interno: il gruppo del Nord che vorrebbe aprire tutto e subito, e la schiera del Centro-Sud che invece teme un'invasione indiscriminata da parte di cittadini che provengono dalle regioni, magari guidate dai loro stessi colleghi di partito, in cui il contagio e quindi la pericolosità sono più alti.
Balza dunque agli occhi un'immagine del Paese caotica e allarmante: gli irresponsabili del Nord e i demagoghi del Sud. In mezzo una frotta di Comuni scontenti e spaesati. Una situazione così paradossale che ci fa capire quanto in questi ultimi anni sia stato snaturato il ruolo stesso dei presidenti di Regione. L'emergenza di questi tre mesi ha semplicemente amplificato i difetti e gli sconfinamenti del ruolo che già erano sotto i nostri occhi. Un populismo istituzionale che rischia di travolgere una figura invece prevista dalla Costituzione e sacrosanto punto di riferimento della rappresentanza delle tante aree territoriali di cui è costellata l'Italia.

C'è da riflettere su quanto sia necessario recuperare il senso dello Stato e di quanto sia urgente ricompattare il Paese all'insegna di un unico indirizzo, soprattutto quando c'è di mezzo la salute dei cittadini. Negli ultimi vent'anni, per inseguire le varie e trasversali mode federaliste, lo Stato si è praticamente ritirato dai suoi confini lasciando spazio ai potentati locali. Questo ha creato il paradosso per cui il presidente di una regione oggi possa arbitrariamente pensare di essersi trasformato nel governatore del Texas o di qualche altro Stato americano, proprio dimenticando che la porzione di territorio che amministra non ha né il crisma né i poteri di uno Stato appunto. Forse un'autosuggestione evocata dalla abusata, e a questo punto da abolire, etichetta di governatore?

Ma c'è da riflettere anche sulla necessità di esercitare in modo univoco il potere da parte di chi lo ha ricevuto direttamente dalla Costituzione. Ed è per questo che il presidente del Consiglio dovrebbe agire risolutamente e con gesti concreti per bloccare l'anarchia delle Regioni con cui non può essere normale ingaggiare un duello rusticano al giorno. Il governo fino ad oggi ha perso l'occasione di dotarsi di poteri di interdizione, all'interno dei propri e ormai frequenti Dpcm, che del resto la stessa carta costituzionale gli affida. Il tentennare mette a rischio il ruolo stesso della Capitale come cerniera e sintesi tra le varie parti del Paese. E questo sarebbe un grave danno.

Immaginiamo che questo stato di cose abbia attirato l'attenzione del Presidente della Repubblica, facendogliene trarre magari qualche conseguenza. Di sicuro, sembra giunto il tempo del ritorno immediato al corretto ordine istituzionale a beneficio di tutti. E dire che negli ultimi due mesi l'Italia e gli italiani in qualche modo hanno fatto scuola. Proprio perché sotto assedio del virus e in condizione di oggettivo pericolo più di altri, qui sono state predisposte misure restrittive e soprattutto un metodo che ha fatto da apripista proprio per quei Paesi che all'inizio sorridevano di sottecchi e ci guardavano con circospezione. Abbiamo visto come invece la Germania per ultima ma anche la Francia, per non parlare dell'Inghilterra di Johnson, siano state poi costrette a fare marcia indietro, guardando alle misure italiane come all'unico modello cui attenersi. Ebbene, vogliamo disperdere proprio questo vantaggio, seppure nella tragedia in cui versiamo, vogliamo tornare all'immagine di fragilità che troppe volte ingiustamente ci hanno cucito addosso? La strada per evitarlo c'è: lanciare un richiamo, chiaro e forte, prima che sia troppo tardi.

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