Carlo Nordio
Carlo Nordio

La festa del 2 giugno/ I 75 anni che hanno cambiato il Paese

di Carlo Nordio
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Mercoledì 2 Giugno 2021, 00:06

Il 2 Giugno, festa della nascita della Repubblica, è una data convenzionale. Quel giorno di 75 anni fa, in effetti, gli italiani si recarono alle urne per scegliere la nostra forma costituzionale. Ma le votazioni si protrassero fino all’indomani, e la proclamazione avvenne in modo pasticciato. Fu un parto, come disse l’allora ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, difficile e “pilotato”.

L’Italia usciva da una sconfitta umiliante. Nel 1940 aveva attaccato la Francia quando già i tedeschi puntavano su Parigi; poi aveva invaso la Grecia rischiando di essere cacciata anche dall’Albania; in Africa aveva perso in pochi mesi un’intera armata; dopo l’8 Settembre del 1943 aveva “cambiato casacca” diventando cobelligerante contro quello che fino a ieri era il suo alleato; aveva visto il suo Duce, osannato per vent’anni, instaurare un regime fantoccio e alla fine tentare la fuga avvolto in un pastrano tedesco.

L’onore delle nostre forze armate, spedite in Russia con le scarpe di cartone, era stato salvato dalle poche ma straordinarie imprese di eroi isolati, come gli incursori di Alessandria e i “Leoni della Folgore”, e dal rifiuto della stragrande maggioranza dei nostri ufficiali e soldati di collaborare con i tedeschi nei campi di prigionia. La Resistenza armata aveva costituito un parziale riscatto morale, ma il suo contributo militare era stato esiguo. Anche se successivamente, nella nostra consueta e deplorevole tradizione, si è cercato di adattare gli eventi ai pregiudizi, inventando la storia che l’Italia era stata liberata dai partigiani, tutto il mondo sapeva che le divisioni di Kesselring erano state battute da quelle di Mark Clark e di Harold Alexander. Il cimitero di Nettuno, e gli altri disseminati nel Paese, quasi eguagliano quelli della Normandia nel ricordare le decine di migliaia di ragazzi morti durante la logorante campagna d’Italia.

Fu in questa situazione di debolezza internazionale e di collasso economico che si arrivò al referendum. E naturalmente ci si arrivò divisi. Il Sud, agricolo e conservatore, era tendenzialmente monarchico. Il Nord industriale, lacerato da quasi due anni di dura occupazione e di guerra civile, era per lo più repubblicano. Il ministro della Giustizia era comunista, e quello degli interni socialista; il comandante dei Carabinieri e quello della Polizia erano filo monarchici.

La magistratura era tendenzialmente apolitica, ma i suoi vertici guardavano a destra. La Chiesa era prudentemente neutrale, ma terrorizzata dalla sinistra anticlericale.

Il re Umberto II era insieme garante dell’imparzialità e parte in causa, e quindi dovette farsi un minimo di propaganda: al Sud ricevette accoglienze calorose, al Nord più fredde e talvolta ostili. Non credeva molto nella vittoria e la moglie, Maria José, nemmeno la auspicava. La campagna elettorale fu tutto sommato tranquilla, e l’afflusso numeroso: votò l’89 per cento dei cittadini. 

Lo scrutinio fu più tormentato. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno i primi risultati davano in vantaggio la monarchia, tra la costernazione e l’incredulità del governo. Quando però arrivarono i voti del Nord la situazione si capovolse, e alla fine vinse la Repubblica con uno scarto di un milione e mezzo di voti. 
Non fini lì. Vi furono contestazioni sulle schede e sul “quorum”e si attese il verdetto della Cassazione. E qui avvenne il colpo di scena. Il 10 giugno il suo presidente, Giuseppe Pagano, si limitò a enunciare dei numeri, non proclamò un bel niente e aggiornò la seduta al 18. 

Pare che fosse stato proprio Togliatti a suggerirgli questa cautela, confidando nelle verifiche - altri dissero nei trucchi – dei successivi conteggi. Nel Sud scoppiarono tumulti, e vi furono anche dei morti. Il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, agì da statista, con un’energia che nessun democristiano, tranne Scelba, avrebbe più dimostrato. Invitò, o comunque convinse il re ad andarsene. 

Il 13 giugno, amareggiato e scosso, Umberto partì per l’esilio. La questione istituzionale era risolta, e l’Assemblea Costituente, eletta in simultanea, poteva iniziare a lavorare. 
Così, il 1° gennaio 1948 la Costituzione entrò in vigore. Alcuni se ne sono così innamorati da definirla la più bella del mondo. Altri hanno sostenuto che, quantomeno nella sua prima parte ,è intangibile e imperitura. Ovviamente non è vero. A questo mondo ogni cosa è destinata a perire. Soltanto la «Veritas Domini - come recita il salmista - manet in aeternum».

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