Carlo Nordio
Carlo Nordio

Testo controverso/ Le riflessioni mancate sugli effetti del ddl Zan

di Carlo Nordio
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Giovedì 1 Luglio 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 00:32

È una vecchia questione che ha affaticato le menti dei filosofi: fino a dove la tolleranza può tollerare l’intolleranza? In altri termini, è lecito concedere la libertà di parola a chi vuole sopprimerla? In teoria forse no. Perché se uso la libertà per favorirne la soppressione promuovo la dittatura. D’altra parte se nego questa libertà, contraddico le mie stesse premesse. Come si vede, un problema quasi insolubile, che un accorto gesuita risolse cosi: “La libertà che chiedo in nome dei vostri princìpi, la nego in nome dei miei”.

A ben vedere, la legge Zan ripropone queste stesse antinomìe, fino a contraddire se stessa. Nata come inno alla tolleranza, volendo mandare in galera gli intolleranti diventa anch’essa intollerante. Emarginando, dietro le sbarre, chi vuole emarginare omosessuali e transgender, attua la forma più severa di emarginazione. Strano che nessuno lo abbia contestato ai suoi autori.

In realtà l’unica a farlo è stata la Chiesa. Ma saggiamente non lo ha fatto con queste arguzie filosofiche, bensì in base al diritto positivo, che vincola lo Stato italiano a rispettare il Concordato. Quel Concordato nato a suo tempo per volontà di Mussolini, recepito nella nostra Costituzione e successivamente modificato, per mutuo consenso, da Bettino Craxi. 

Due persone che hanno subìto, sia pure in misura e per ragioni diverse, una damnatio memoriae, ma che rappresentavano l’Italia. In ogni caso il vincolo esiste e va rispettato: pacta sunt servanda. 

E cosa dicono questi patti? Dicono che la Chiesa ha il diritto di esercitare il suo ministero pastorale ed educativo in piena libertà. E questo comporta due conseguenze: la prima, che il nostro Stato non può impedire tale esercizio in nessun modo; e la seconda che non può sindacare il merito dell’indirizzo teologico della Chiesa, che ne è depositaria sovrana ed esclusiva. Gli unici limiti, potremmo aggiungere, sono quelli dell’ordine pubblico e del buon costume. Ma la Chiesa Cattolica non ha mai incitato alla rivolta e tantomeno alla dissolutezza e all’oscenità. Semmai ne è stata vittima, com’è avvenuto di recente con la sfilata di un Cristo travestito. 

Ora, chiunque abbia un minimo di cultura religiosa, sa perfettamente che il Pentateuco in questo è chiarissimo. La differenza antropologica dei due sessi è affermata nella Genesi; il Levitico e il Deuteronomio pullulano di discriminazioni razziali, sessuali e di altra natura, prevedendo e ordinando pene severe per comportamenti oggi tollerati o addirittura esaltati; e lo stesso Nuovo Testamento, sia pure in misura assai ridotta, contiene concetti analoghi, non foss’altro perché Gesù ha detto che non avrebbe cambiato una sola jota della Legge.

Queste affermazioni costituiscono Rivelazione divina, Verbum Domini. Che poi la stessa Chiesa, nella sua immensa saggezza, eviti citazioni scabrose, ovvero le interpreti in modo allegorico, sull’esempio di Filone l’Ebreo, è un’altra cosa. Ma se un domani un sacerdote leggesse dal pulpito che “se una sposa non sarà trovata vergine la gente della sua città la lapiderà perché ha disonorato la casa del padre”(Deut. 22.20); oppure che “se un uomo ha rapporti con un uomo come se fosse una donna tutti e due hanno commesso un abominio, e dovranno esser messi a morte” (Lev 20.13), ebbene questo sacerdote eserciterebbe legittimamente il suo ministero: quello cioè garantito dal Concordato. 

Per questo le perplessità enunciate nella nota del Vaticano sono fondate, e direi doverose. Perché la proposta Zan è formulata in modo così tecnicamente imperfetto, incerto ed ambiguo, da vulnerare i princìpi di tassatività e certezza della legge penale, e da esporre ogni sacerdote che si riporti a queste citazioni bibliche al rischio, se non proprio di una condanna, quantomeno di una denuncia. Per fare un altro esempio, espressioni come “orientamento sessuale” vanno benissimo in un talk show ma sono pericolosissime davanti a un procuratore della Repubblica, che può interpretarle in modo multiforme. Peraltro la storia ci insegna che alcune di queste attitudini come la pedofilia, oggi considerata un disgustoso reato, un tempo erano rispettate e praticate da educatori e filosofi. Mentre l’onanismo e la coprofilia, oggi penalmente irrilevanti, erano puniti con la morte. Non c’è nulla di più volatile e mutevole, nello spazio e nel tempo, della valutazione di questi tipi di preferenze. 

Tutto questo, probabilmente, non sarà affatto oggetto di riflessione. Per come è nata e come è gestita questa proposta di legge, formulata male e propagandata peggio, seguirà criteri di pura opportunità e convenienza politica. Ma attenzione: essa, come tutte le leggi speciali, si inserisce nel corpo più vasto del codice penale. Il quale, come forse molti nostri parlamentari non sanno, è quello firmato nel 1930 dal Re Vittorio Emanuele e da Benito Mussolini. Proprio loro: i padri delle leggi razziali.
 

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