Alessandro Campi
Alessandro Campi

Oltre il Terzo polo/ La politica di Centro alla ricerca di una casa

di Alessandro Campi
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Venerdì 14 Aprile 2023, 00:03

Le incognite circa il futuro di Forza Italia, il mancato decollo del progetto di un Terzo Polo e la crescente radicalizzazione a sinistra del Partito democratico hanno fatto tornare d’attualità una questione che in realtà serpeggia da sempre nella politica nazionale degli ultimi trent’anni: quella cosiddetta del centro (in senso politico ma anche sociologico e culturale). Chi può assumerne la rappresentanza nel prossimo futuro, visto il modo con cui sembrano destinati a cambiare gli equilibri, fragili per definizione, del nostro sistema politico-partitico?
Dopo la dissoluzione per via giudiziaria della Democrazia cristiana (e dei partiti laici storicamente suoi alleati: Psdi, Pri e Pli), l’eredità elettorale centrista è stata variamente spartita tra destra e sinistra, in linea con l’orientamento tendenzialmente bipolare che ha caratterizzato la Seconda Repubblica.
Nel primo campo, soprattutto nel Sud d’Italia, essa venne raccolta da Silvio Berlusconi nel nome dell’anticomunismo e della promessa di una “rivoluzione liberale”. Mentre nel Nord non pochi, soprattutto tra piccoli imprenditori, liberi professionisti e agricoltori-allevatori, preferirono accasarsi nella Lega per ragioni di identità territoriale e in polemica col centralismo dello Stato romano. Le componenti più conservatrici si riconobbero invece nella destra di Alleanza nazionale.
Ma una quota non irrilevante di centristi si collocò anche a sinistra: cattolici democratici o maturi, riformisti liberali, moderati di sentimenti progressisti.

Dapprima in formazioni quali i nuovi popolari o la Margherita. Poi direttamente nel Partito democratico, all’interno del quale la componente d’estrazione democristiana ha avuto sino a tempi recenti un’incidenza probabilmente superiore alla sua reale forza elettorale. 
Ciò nonostante, nel corso dei tre decenni in questione non sono mancati i tentativi per rimettere in piedi una forza politica centrista autonoma, solida e stabile. Ma sono tutti falliti. E per molte ragioni. Innanzitutto perché gli elettorati, compreso quello cosiddetto moderato o centrista, si sono nel frattempo radicalizzati sotto la spinta di diversi fattori: dall’accentuarsi della crisi economica e delle paure sul futuro al diffondersi di forme di comunicazione che, come quelle tipiche dei social media, di per sé tendono a favorire la polarizzazione delle opinioni e un clima di scontro. 
Ma in questo fallimento molto ha contato il fatto che la (ri)costruzione del centro sia stata quasi sempre tentata non sulla base di un progetto politico minimamente organico – sulla base cioè di una proposta ideale – ma in termini personalistici, con l’obiettivo cioè di assecondare le ambizioni di questo o quel leader. Il caso recente del Terzo Polo è emblematico: lo scontro continuo tra le personalità che lo hanno fatto nascere, Matteo Renzi e Carlo Calenda, non ho mai reso quel progetto credibile agli occhi degli elettori centristi che avrebbero dovuto sostenerlo.
Bisogna infine considerare la declinazione spesso puramente tattica e strumentale che del centro è stata data da chi ambiva a ricrearlo: non il luogo della mediazione e del compromesso tra interessi e visioni, che è il sale della democrazia, ma una sorta di palude nella quale le differenze si annullano e si lascia piuttosto spazio all’affarismo. Il centro non come punto di gravitazione del sistema, in grado di conferirgli stabilità, ma come spazio opportunistico a partire dal quale stringere alleanze puramente tattiche e contingenti con chiunque pur di garantirsi l’obiettivo del proprio mantenimento nell’area del (sotto)governo.
Queste declinazioni del centrismo hanno fatto cilecca, ma resta il problema del vasto elettorato centrista. Dove finirà ora che il quadro politico si è rimesso in moto e le scelte di un tempo non sembrano più essere scontate o possibili? Intanto è plausibile che non pochi, tra gli elettori di quest’area, abbiano finito per imboccare la strada dell’astensionismo e nel non-voto. Si sono messi in sonno delusi dalle forze nelle quali si erano riconosciuti e in attesa di tempi (e proposte) migliori. 
Ma anche quelli decisi a restare politicamente attivi in questo momento si stanno guardando intorno e cominciano a farsi domande. Quelli posizionati nel centrodestra si chiedono se Forza Italia possa sopravvivere al suo fondatore e se, venendo meno l’ala liberal-moderata di quella coalizione, non si rischi una radicalizzazione su posizioni di stampo populista. Quelli di casa nel centrosinistra si interrogano sulla direzione di marcia – in chiave radical-movimentista, ultra-libertaria, neo-statalista, oscillante in politica estera – impressa al Pd dalla nuova segretaria Elly Schlein e sulla difficoltà (certificata ieri con lo scontro finale tra Renzi e Calenda) ad aggregare a sinistra una forza di stampo riformista-liberale.
In questo quadro, non essendo facile lanciare una nuova (ed ennesima) proposta, peraltro su un mercato politico già tanto affollato, che possa risultare appetibile agli italiani che si autocollocano su posizioni moderate o centriste, non resta che guardare alla possibile rimodulazione di quelle già esistenti. Della scelta del Pd, in questa fase, abbiamo detto. Il M5S, col suo dna antisistema, appare poco credibile per i moderati, anche se a guidarlo oggi è un democristiano in senso antropologico come Giuseppe Conte. Il capitano Salvini, sebbene oggi vesta abiti più istituzionali e responsabili, resta per molti il movimentista inquieto e imprevedibile che abbiamo visto ai tempi del governo giallo-verde.
Molti occhi sono dunque puntati in questo momento su Giorgia Meloni, populista anti-europea convertitasi al draghismo e al pragmatismo conservatore.

I moderati, che in gran parte già l’hanno votata per il solito desiderio di novità, possono continuare a fidarsi di lei? E lei cosa può fare per stabilizzare i consensi in questo importante pezzo d’elettorato? La politica è imprevedibile perché è sempre in moto. E Giorgia Meloni in questo momento ha dinnanzi a sé uno scenario inedito, vale a dire molti moderati di nuovo potenzialmente orfani e in cerca di collocazione, e un’occasione oggettivamente ghiotta, vale a dire prendersi stabilmente molti dei voti che Berlusconi s’era preso dalla vecchia Dc. Ma per realizzare quest’ultimo obiettivo deve necessariamente spingere oltre il suo percorso di rinnovamento ideologico e lasciarsi definitivamente alle spalle le suggestioni identitarie, rivolte al passato, che ancora condizionano parte del suo gruppo dirigente. Dal suo punto di vista di giovane leader che ambisce a restarlo non si tratta di catturare consensi elettorali occasionali, ma di provare a costruire un grande partito nazional-liberale, conservatore sul piano dei valori, innovatore sul piano economico, ancorato all’Europa e all’alleanza atlantica sul piano della politica estera, in grado di stabilizzare, su basi parzialmente nuove, l’esperienza del centrodestra inventato a suo tempo da Berlusconi. Le elezioni europee del 2024 potrebbero essere la prima prova di questo progetto.

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