Carlo Nordio
Carlo Nordio

Tassa di successione, la proposta Letta/L’ingiusto balzello che punisce gli eredi

Tassa di successione, la proposta Letta/L’ingiusto balzello che punisce gli eredi
di Carlo Nordio
4 Minuti di Lettura
Domenica 23 Maggio 2021, 04:13 - Ultimo aggiornamento: 24 Maggio, 02:20

La proposta di Enrico Letta di introdurre una tassa di successione più alta per le eredità più ricche ha suscitato a destra un’unanime critica, al centro molte perplessità e a sinistra una tiepida accoglienza di facciata. Il giudizio di Draghi è stato lapidario: «Questo è il momento di dare soldi agli italiani – ha detto - non di toglierli». La brevità è l’anima del senno. 


In effetti le ragioni che militano contro questa iniziativa, in teoria eticamente lodevole, sono molte, e tutte giustificate.
La prima è che questi cespiti, se ottenuti e detenuti “in bianco” sono già stati tassati pesantemente e ripetutamente all’origine. Se poi sono in nero, sfuggono comunque all’accertamento tributario. Quindi si tratta di un’imposta aggiuntiva che, viste le nostre aliquote assai alte, rischia di confliggere anche con il principio di ragionevolezza e progressività. La seconda è che il risparmio, anima e motore dell’economia, è incentivato anche dalla prospettiva che alla fine quello che non hai investito andrà ai tuoi eredi, proiezioni morali e affettive della tua precaria individualità.

Lasciare che lo Stato se ne appropri di una solida fetta significa indurre alla sfiducia e allo sperpero. La terza è che i veri ricchi questo problema nemmeno se lo pongono, perché hanno messo al sicuro i loro cospicui patrimoni nei cosiddetti paradisi fiscali, attraverso costituzioni di trust e di altre diavolerie che sfuggono a ogni controllo. La quarta è che quando lo Stato dà l’impressione di voler punire il denaro, “sterco del diavolo”, questo Mefistofele si sottrae abilmente, come Proteo dalle mani di chi voleva farlo vaticinare per forza. Quando il governo Monti ha tassato le imbarcazioni - simbolo di ostentazione suntuaria - queste ultime sono state rapidamente trasferite in porti più propizi, con grave danno dei nostri cantieri e senza beneficio per le nostre finanze. Insomma con le tasse bisogna andarci cauti. Altrimenti, come diceva Churchill, è come metter i piedi dentro un secchio e cercare di sollevarsi per il manico.

 
Ma c’è una ragione di più per diffidare di questa iniziativa. Ed è una ragione tutta, o quasi tutta italiana. Il nostro infatti non è solo un Paese di santi, artisti e navigatori, ma anche di legulei e di burocrati. Non è un caso che la nostra proliferazione normativa sia elefantiaca, quasi dieci volte la media europea, e che la lentezza della nostra giustizia civile sia esasperante e fatale. Sono cose arcinote, soprattutto oggi quando l’Europa ci chiede una sua riforma radicale come condizione per gli aiuti economici e finanziari.

Ebbene, nelle università, negli studi forensi e nei tribunali, esistono intere biblioteche sui vari sistemi escogitati per eludere, si fa per dire, i controlli sui nostri patrimoni e le nostre transazioni.

Questi espedienti hanno definizioni austere, spesso derivate dal diritto romano: si chiamano negozio indiretto e negozio fiduciario, a sua volta distinto tra la “fiducia cum amico” e quella “cum creditore”. Poi c’è il negozio simulato, dove l’azzeccagarbugli distingue tra simulazione assoluta (“colorem habet, substantiam verum nullam”), e simulazione relativa (“ substantiam verum alteram”). E ancora: c’è l’interposizione reale di persona e quella fittizia, volgarmente detta prestanome o testa di turco. E non dimentichiamo il “mandatario senza rappresentanza”. Il lettore, esausto e inorridito, si domanderà se stiamo scherzando. Purtroppo no. E Enrico Letta può sempre chiederlo a Giuseppe Conte che queste cose le deve insegnare all’università. 


Tutti questi marchingegni giuridici servono quasi sempre, e spesso in modo consentito, a far apparire la realtà diversa da quella che è, anche se in sostanza lo scopo è di fregare il prossimo o lo Stato esattore. La giurisprudenza su questa casistica è immensa, come le cause imbastite da creditori, eredi, legittimari ecc. per far emergere quei rapporti che erano stati a loro danno occultati. Si badi che questi stratagemmi non sono un’esclusiva dei capitalisti avidi e speculatori. Li usano un po’ tutti. Il Pci se ne è servito, in modo continuo, pacifico e ininterrotto per oltre 40 anni, costituendo un gigantesco patrimonio immobiliare intestato a persone fidate, che figuravano come proprietari. Il caso del compagno Greganti è emblematico, e gli altri sono ampiamente documentati. Non c’è nulla di polemico in questa rievocazione storica: si tratta di prendere atto di una realtà trasversale di cui tutti hanno approfittato, e possono ancora approfittare.


Ebbene, questo gigantesco apparato normativo è ancora lì. Tutto lascia supporre che chi dispone di un patrimonio medio-grande, e non intende farselo tosare dal fisco al momento dell’Addio, se ne servirà con le conseguenze consuete. Se gli andrà bene, frodando lo Stato e rendendo vane le aspirazioni di Letta. Se gli andrà male, intasando la giustizia civile e tributaria con cause annose e incerte, all’esito delle quali il patrimonio sarà comunque evaporato. E lo farà senza remore e senza rimorsi, accampando l’alibi, in parte fondato, che più grande è la fetta presa dallo Stato più piccola sarà la torta a disposizione di tutti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA