Mario Ajello
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Il caso migranti/ “Sostituzione etnica” e assenza di visione

Il caso migranti/ “Sostituzione etnica” e assenza di visione
di Mario Ajello
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Giovedì 20 Aprile 2023, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 11:37

«Non possiamo arrenderci alla sostituzione etnica». Ma siamo sicuri che sia in corso una sostituzione etnica?
Lo slancio dichiaratorio di due giorni fa ad opera del ministro dell’Agricoltura non poggia infatti su alcuna base scientifica e non è motivato da alcun dato di fatto. E’ nel merito che non regge questa tesi. L’errore sta nel credere, a dispetto dei numeri degli arrivi, che l’identità occidentale e quella italiana in particolare sia sotto assedio da parte di massicce ondate d’immigrazione da Paesi non europei, portando a una sostituzione degli europei bianchi sul piano demografico. Non c’è nulla di tutto ciò, e oltretutto non si capisce quale «etnia» debba essere protetta dalla «sostituzione». Soltanto una visione anti-scientifica prende sul serio una qualsiasi autonomia dell’etnia italiana, e s’immerge in discorsi razziali invece di affrontare le questioni economiche e sociali - ovvero sostanziali e pratiche e non meramente teoriche - che sono il cuore del tema immigrazione.
Non ricorda forse il ministro che cosa dice la Costituzione all’articolo 3? Dice che non si può discriminare una persona per razza. 

Ma c’è di più nella scivolata del titolare dell’Agricoltura.

Il no alla «sostituzione etnica», che non c’è, s’unisce all’invito a fare più figli per sostenere il welfare. Come se quest’ultima fosse una ricetta di pronto impiego e la soluzione panacea, per le nostre pensioni, che non è affatto. I lavoratori per sostenere il sistema produttivo e assistenziale servono subito. Mentre combattere il cosiddetto «inverno demografico» è una battaglia (più che opportuna) di lunga durata. Anche ipotizzando che d’improvviso le nascite in Italia registrino un boom, i benefici saranno visibili solo dopo il 2050. Occorre quindi correre in anticipo ai ripari. Se è vero insomma che fare più figli darà energia al Paese, questo accadrà tra circa vent’anni, e nel frattempo c’è bisogno di tamponare la carenza di persone nel mondo del lavoro e l’emergenza pensioni. Altro che «sostituzione etnica» o altre teorie immaginifiche ed estemporanee di questo tipo.

Servono due binari paralleli: uno che corre più veloce - flussi immigratori legali con nuovi ingressi ben regolati e di qualità nel tessuto produttivo senza badare a categorie etniche o religiose - e l’altro che è ugualmente strutturale ma inevitabilmente avrà scadenze più dilatate, cioè quello delle reali politiche della natalità di cui c’è assoluto bisogno dopo troppo lungo bla bla. 

E a proposito di tempo: non poteva pensarci su un po’ di più il ministro prima di esternare su questioni così importanti? Non era possibile, per un esponente della classe dirigente che dovrebbe evitare confusioni, rendersi conto che l’aumento delle nascite e l’immigrazione non sono alternativi ma due cose complementari con effetti in tempi diversi – quindi più immigrazione buona e più natalità – invece di farsi prendere in castagna sulla «sostituzione etnica» che vede i due fatti come alternativi?

Ovviamente va selezionata con cura e lungimiranza l’immigrazione che viene in Italia per lavorare. E senza voler andare indietro ai tempi dell’Antica Roma, quando l’assimilazione degli stranieri alla cultura, alla legge, al sistema produttivo vigente ne faceva dei cittadini romani che contribuivano come gli altri alla forza dell’impero, valga il caso attuale della Francia. 

Ci sono milioni di uomini e donne provenienti da tutto il mondo che hanno passaporto francese, che si sentono francesi e vengono riconosciuti come tali perché perfettamente inseriti nelle regole e nei valori del Paese in cui hanno scelto di vivere. No, non è l’etnia a definire un popolo ma l’accettazione di un codice comune - e l’Italia ha un sistema di riferimento valoriale forte e attrattivo di cui dovremmo essere molto più consapevoli e orgogliosi - e il generale riconoscimento in una patria, con tutti i diritti e i doveri connessi a questo concetto, e in una lingua che è la nostra meravigliosa lingua. L’unica discriminazione, senza lanciarsi in pseudo-teorie, dovrebbe essere proprio questa: chiedere a chi arriva da fuori di assimilare la nostra cultura - il che chiama comunque in causa anche la nostra capacità di saperla trasmettere - e soltanto chi fa questa scelta diventa un partecipante di questo popolo e di questa Repubblica. 

Il ministro frettoloso avrebbe potuto indugiare qualche minuto in casa propria. Guardando il Def presentato dal governo di cui fa parte, dove si dice che soltanto un aumento consistente del flussi migratori potrà garantire la tenuta del bilancio pubblico e dei livelli del welfare. Ossia un aumento della popolazione straniera del 33 per cento farebbe calare il debito pubblico di 30 punti. Se invece il tasso di migranti dovesse rallentare o addirittura calare, peggiorerebbero gli equilibri finanziari e le capacità di pagare pensioni e sanità. 

Occorrerebbe leggere di più e parlare di meno. E verrebbe da dare un amichevole consiglio a Giorgia Meloni: «Presidente, il Paese la stima e lei sembra meritare il consenso che continua ad avere. Ma le tocca sopportare qualche volta le intemperanze dei suoi più stretti collaboratori. Non andrebbero controllati di più i ministri troppo loquaci?». Spesso il silenzio è d’oro. E se qualcuno straparla di questioni etniche, non dando lustro al delicato ruolo che ricopre, forse è poco compatibile con un fattivo governo repubblicano.

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