Paolo Balduzzi
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In vigore da oggi/ La riforma a metà per il voto al Senato ai diciottenni

di Paolo Balduzzi
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Giovedì 4 Novembre 2021, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 16:40

Dalle prossime elezioni politiche, i diciottenni potranno votare anche per il Senato della Repubblica. 
Questa riforma costituzionale, in vigore proprio da oggi, ha un grande valore simbolico ed elimina una differenza, quella di elettorato attivo tra Camera e Senato, che aveva davvero poca ragion d’essere. Che poi, oltre che simbolico, il valore sia anche sostanziale è tutto un altro discorso. 
Se infatti si misura il potere politico potenziale dei giovani, le cose non cambieranno molto rispetto al passato. Che cosa definisce infatti questo potere? Da un lato, le età di accesso alle cariche elettive; dall’altro, la dimensione della popolazione che vota. Siamo ancora il peggior Paese europeo (e per compassione verso la Costituzione meglio evitare i confronti su scala mandale) in questa speciale classifica.


Sotto il primo punto di vista, infatti, per un giovane italiano è difficilissimo accedere al potere politico. Fino al 1975 la maggiore età, quindi la possibilità di votare per la Camera, era a 21 anni. Poi è stata abbassata a 18. Ora, quasi cinquant’anni dopo quell’evento, si sono guadagnati sette anni al Senato. E, se votassero tutti, i giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni non sarebbero nemmeno pochi: circa 4 milioni, la popolazione di un’ipotetica regione che sarebbe l’ottava su 20 per popolazione, dopo il Piemonte e prima della Puglia. 
Ma restano elevate, elevatissime e soprattutto intonse da ormai 70 anni, le soglie per entrare nelle stanze dei bottoni: 25 anni per diventare Deputato, addirittura 40 per diventare Senatore. 
Il potere politico è una matrioska che mortifica i più giovani. All’esterno, gli over 40, che godono del potere maggiore. Nel primo strato interno, coloro che hanno tra i 25 e i 40 anni, vale a dire gli eleggibili solo alla Camera. Più internamente ancora i maggiorenni fino a 25 anni, che possono solo votare. E, infine, la bambolina più piccola: i minorenni, che oggi non hanno alcuna possibilità di vita politica. Anzi, a dire il vero due strade le avrebbero. La prima è quella di scendere in piazza: ma sappiamo bene che, quando questo succede, l’atteggiamento di gran parte degli adulti è di sufficiente se non addirittura di malcelato fastidio per questi ragazzi che «sanno solo protestare».


Ma il problema paradossalmente è proprio questo: che questi ragazzi possono solo protestare, perché non hanno altro modo per far sentire la propria voce. E se non possono far sentire la propria voce, rimane una seconda e ultima strada: quella di andarsene. I giovani italiani sognano più dei loro coetanei europei un futuro all’estero. E, quando possono, ci vanno davvero. I flussi di giovani italiani verso l’estero sono calati solo a causa della pandemia, non certo grazie al nostro Paese. 
E qui entra in gioco la politica. Il riconoscimento dell’importanza dei giovani non può e non deve esaurirsi a questa, peraltro timida, modifica costituzionale.

Per diversi motivi. Il primo è che si tratta appunto di misura simbolica. Se proprio si volesse agire sulla Costituzione, ci sarebbero altre soglie di età da mettere in discussione: quelle di elettorato passivo a Camera e Senato (oggi rispettivamente 25 e 40 anni) e quella di elettorato passivo alla Camera (oggi 18, abbassabile a 16).


Secondo, perché la cartina di tornasole della volontà politica di valorizzare i giovani, oggi, non può essere esclusivamente la Costituzione ma deve esserlo la legge di bilancio. Per troppi anni ormai il legislatore ha riservato miliardi di euro ai più anziani e miliardi di belle parole ai più giovani. 
Stesso discorso per il Piano nazionale di ripresa e resilienza. È vero, non è facile immaginarsi il futuro. Ed elettoralmente non è facile scommettere su di esso. Ci vogliono leader coraggiosi, qualcosa che spesso manca in politica e certo non solo nel nostro Paese. 
Ultimo esempio di questa politica sono il G20 e la Cop26: trovato un accordo per spartire i 130 miliardi della web tax ma ancora niente di concreto sul clima. Il premier Draghi in questi mesi è stato molto incoraggiante per quanto riguarda il valore dei giovani. Anche a Glasgow, cercando un’intesa sul clima ha affermato: «Ora i sodi ci sono». 
Bene, allora: usiamoli questi soldi, usiamolo il debito buono, sempre per citare Mario Draghi. E dedichiamo questo impegno a diventare moltiplicatore di futuro. Il disegno di legge di bilancio è approdato in questi giorni in Parlamento; ora deputati e senatori avranno a disposizione due mesi per fare davvero qualcosa, se lo volessero. 


Invece, c’è da scommettere che tutti gli emendamenti approvati andranno sempre nella stessa direzione. Chissà se il legislatore si chiede qual è l’impatto delle sue decisioni sul benessere delle generazioni future? Non lo sappiamo, se non grazie a qualche attento osservatore che ci ricorda come i conti debbano sempre tornare e come ogni privilegio concesso oggi non è un pasto gratuito ma dovrà essere ripagato da figli e nipoti. 
Quindi, sarebbe bello che invece di parlare di Quota 100, 102 o 104 per le pensioni, i politici parlassero di quota 5, cioè della necessità di aumentare la percentuale di spesa pubblica in istruzione dal 4,1 ad almeno il 5% del prodotto interno lordo; o che invece di un reddito di cittadinanza, si parlasse di un reddito di indipendenza per i giovani che volessero uscire di casa anche prima di aver terminato gli studi universitari; o, ancora, che invece di un ennesimo trasferimento ad Alitalia, si mettessero davvero le ali all’Italia con politiche di inserimento e valorizzazione delle competenze per quella che, ad oggi, è la parte più istruita e meno pagata del Paese. 
Allora sì che la politica invierebbe un messaggio credibile. E questa riforma costituzionale acquisterebbe un valore decisamente diverso da quello che sembra oggi: una classica foglia di fico.

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