Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Ritorno in classe/ La lezione delle aule e il Paese che funziona

di Paolo Pombeni
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Martedì 14 Settembre 2021, 00:31

Dunque l’anno, inteso come anno scolastico (ma per come lo intende gran parte del sentire comune, scandito sulle vicende di figli e nipoti, il vero inizio di un nuovo anno dopo la pausa estiva) è cominciato bene, contro tutte previsioni dei catastrofisti di vario colore. Niente assembramenti davanti alle scuole per controllare i green pass, niente proteste generalizzate, i presidi che testimoniano che la piattaforma fornita dal ministero per i controlli sulle vaccinazioni (o i tamponi) degli insegnanti ha funzionato. I servizi dei Tg parlano di ragazzi contenti di riprendere la loro esperienza di vita coi compagni “in presenza”, intervistano insegnanti che apprezzano di essere parte consapevole e di esempio nella lotta alla pandemia, presidi che si attrezzano senza piagnistei a gestire i problemi inevitabili in una ripartenza.

E’ un miracolo? No, è solo la testimonianza che questo Paese, se vuole, ha i mezzi per gestire anche le emergenze complicate. Senza Dpcm particolari, forzature e quant’altro, il Ministero della Pubblica Istruzione ha coperto le cattedre vacanti fin dall’inizio, quello dei Trasporti è intervenuto sui mezzi pubblici, quello della Sanità è riuscito a portare, oltre a più del 90% degli insegnanti, anche un gran numero di studenti ai punti di vaccinazione.

Tutto perfetto? Non sarebbe di questo mondo, ma tutto molto, molto meglio del previsto e molto confortante. Segno che il governo e le sue articolazioni, le Regioni, i Comuni possono funzionare con la strumentazione che hanno a disposizione, basta che ci sia una “guida politica” salda e competente (è dove non c’è che sorgono i problemi gravi). Ma bisogna aggiungerci, altrimenti non si capisce davvero quel che è successo, che il buon funzionamento è stato aiutato dalla cooperazione della grande maggioranza dei cittadini.

Anche questo è un cambiamento che si percepiva proprio in quest’ultima fase.

Quanto più il governo mostrava di essere affidabile, tanto più la gente ci metteva del suo a collaborare, lasciando ai margini non solo gli ossessionati dai miti del potere che tutto manipola (come fanno, se non possono immaginare un “grande fratello” che tutto controlla?), ma anche quelli che devono sempre, ci si consenta la battuta, mostrare che ne sanno una pagina più del libro. Si è determinato così un circolo virtuoso: la pubblica amministrazione fa, la gente apprezza e collabora, la pubblica amministrazione è spinta a fare ancora di più.

Ci si sarà accorti che anche molti “recettori” del clima dell’opinione pubblica se ne sono resi conto. Iniziano a registrare il risentimento e la scocciatura della gente verso gli spazi d’attenzione che, giusto per fare audience, sono stati dati a chi voleva fare l’alternativo a tutti i costi. Seguono la saggezza di Mattarella e di tanti altri meno autorevoli che ricordano che prima degli egoismi personali (e delle impuntature di partito) viene il dovere di essere solidali col destino del popolo a cui si appartiene.

Ripetiamo: non si tratta di elevare peana acritici al cosiddetto “potere”. Si tratta di prendere nota che siamo un Paese che ha gli strumenti per gestire le sue difficoltà, e se non li usa siamo legittimati a rinfacciarlo ai responsabili della cosa pubblica, ma se vengono utilizzati abbiamo altrettanto il dovere di riconoscerlo spronandoli a continuare su quella strada. E’ importante, perché a noi tutti servirà molto di qui in avanti che si proceda con decisione in quel cammino.
 

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