Dio, patria, famiglia. Esattamente un anno fa Giorgia Meloni vinceva le elezioni politiche presentando questa triade di valori come fonte della propria ispirazione. Da allora, le sono sempre state rivolte aspre contestazioni: si tratterebbe di concetti estranei al pensiero democratico, affini al clericalismo reazionario o, addirittura, eredità del nazionalismo mussoliniano. Volendo trarre un primo bilancio “identitario” della premier è doveroso allora porsi una domanda: siamo proprio sicuri che siano critiche fondate? In realtà non sembra. In primo luogo perché, restando all’Italia, la prima formulazione di questa “linea di valori” la si deve a un democratico di nome Giuseppe Mazzini. In secondo luogo perché, almeno per ciò che riguarda i richiami a Dio e Patria, essi costituiscono le fondamenta valoriali della più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d’America.
Ma andiamo per ordine. Mazzini, animato da una visione romantica della storia, guardava con passione a quel cattolicesimo “umanitario” che ispirava anche Manzoni e Gioberti e che si opponeva a quello “reazionario” alla De Maistre. Entrambe queste correnti, nate in contrapposizione all’ateismo della Rivoluzione Francese, sostenevano che il dominus della storia non fosse la Ragione ma Dio. Mentre però, per “i reazionari”, il richiamo alla Divina Provvidenza serviva a comprimere la libertà degli uomini, restaurando l’ordine medievale, secondo gli “umanitari”, invece, la Provvidenza alitava nello spirito di ogni singolo essere umano che, per questo, doveva rimanere libero. In altre parole essi pensavano ad un modello di rivoluzione diverso da quello francese e lo rintracciavano (guarda caso) nella Costituzione di Filadelfia, la quale, come si sa, scrive appunto di trarre ispirazione dalla Divina Provvidenza. Ciò che permise a Mazzini (che in fondo è stato il nostro Thomas Jefferson) di dire: “Il giorno in cui la Democrazia avrà la forza di un partito religioso, avrà la vittoria: non prima”.
Forse che Mazzini, o addirittura la Costituzione americana, ipotizzavano uno Stato clericale? Ridicolo il solo pensarlo. L’obiettivo era piuttosto quello di dare alla patria una così grande “forza etica” da far diventare la democrazia e le sue regole una vera e propria “religione civile”.
Certamente più agevole oggi è, invece, difendere il valore della patria. Nei primi anni Duemila, infatti, le magistrali presidenze di Ciampi e Napolitano hanno “riabilitato” una parola che, assieme a quella di nazione, era stata espulsa dal lessico italiano. Così Ciampi il 31 dicembre del 2005: “Siamo eredi di un antico patrimonio di valori cristiani e umanistici, fondamento della nostra identità nazionale”. In conclusione: solo la terza parte della triade, la famiglia, può essere considerata argomento controverso della dialettica tra conservatori e progressisti e, in effetti, le cronache politiche sono piene di accesi scontri sul tema, laddove i conservatori, sulla scorta dell’idealismo europeo, considerano la famiglia come la prima cellula della nazione. E i progressisti no. Al contrario, per ciò che riguarda i concetti di “religione civile” e di “patria” sarebbe il caso di riconoscere che essi non sono affatto una “pericolosa” deriva ideologica della Meloni ma fanno pienamente parte dell’identità occidentale. E che, come tali, andrebbero difesi, soprattutto in un tempo nel quale il destino dell’Occidente è tornato a farsi incerto.
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