Alessandro Campi
​Alessandro Campi

Il caso di Torino/ La censura che racconta il tramonto di un modello

di ​Alessandro Campi
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Lunedì 22 Maggio 2023, 00:07

«Questa destra è ignorante e aggressiva», secondo il giudizio di molti intellettuali di sinistra. «Questa destra non tollera il dissenso», secondo l’opinione di Elly Schlein. E infatti al Salone del Libro di Torino hanno impedito a Eugenia Roccella, ministro del governo Meloni, di presentare il volume che racconta la storia della sua famiglia e alzato barricate preventive contro la presenza alla manifestazione del fondatore della “nouvelle droite” Alain de Benoist.

Davvero un capovolgimento orwelliano della realtà: i censori che accusano i censurati di essere anti-democratici solo perché non accettano che si tolga loro la parola nel nome della democrazia. Ma da dove nascono questa vocazione intollerante di una sinistra che pure non fa altro che parlare di libertà e dei pericoli che la minacciano e il fastidio dell’intellettuale medio di sinistra per le idee che non sono le sue? 
Si deve partire da una frustrazione doppia: politica e intellettuale. La prima viene dai tempi della comparsa sulla scena di Silvio Berlusconi. L’avvento a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni l’ha esacerbata ancora di più. La ragione di tale stato d’animo è semplice e comprensibile. Quando sembrava, già trent’anni fa, che il vento della storia avesse preso a soffiare nella direzione giusta, con i propri avversari storici ridotti all’impotenza o alla marginalità, bene, da allora la sinistra non ha fatto altro che passare da una sconfitta e delusione all’altra.

Si è trovata dinnanzi, con crescente raccapriccio, nemici dal suo punto di vista sempre peggiori e sempre più forti, riemersi da chissà quale melmoso passato. Ha perso consensi ed elettori. Si è vista scalzata dalle sue storiche posizioni di dominio. Ma invece di mettersi in discussione, ragionando dei propri eventuali errori, ha finito per irrigidirsi ancora di più intorno alle proprie false certezze: la principale delle quali è che il suo compito storico sia ancora oggi quello di combattere un fascismo mai morto in quanto eterno.
Il secondo motivo di frustrazione è invece riferito alla sfera culturale. L’egemonia di cui tanto si parla è, correttamente intesa, la somma di due cose che si alimentano a vicenda: il presidio dei luoghi strategici della produzione culturale, la capacità di produrre idee in grado di radicarsi nella mentalità diffusa di una collettività e di trasformarsi in consenso sociale e politico.

Bene, quest’ultima capacità la sinistra l’ha persa da un pezzo, col rischio reale che strada facendo perda anche presidi, poltrone e incarichi. Ne è nato un senso di delusione talmente rabbioso da trasformarsi in una forma di fanatico dogmatismo. Semplicemente essa non riesce più a comprendere il mondo che ha intorno: la realtà si diverte a smentire continuamente le sue visioni dei fatti, le sue aspirazioni e attese. Perché? Sono cambiate, evidentemente in peggio, le sue chiavi di lettura del mondo. Il vecchio marxismo, interessato alla dinamica sociale, alle strutture economiche e alle loro proiezioni ideologiche, funzionava meglio del moralismo privo di senso della storia dei progressisti odierni. 

Anche i fallimenti teorici dovrebbero spingere all’autocritica e favorire il desiderio di allargare i confini della propria conoscenza.

E’ accaduto paradossalmente il contrario: il senso di sé si è accresciuto insieme all’allergia verso il pluralismo e il confronto tra idee diverse. A sinistra ci si è chiusi all’interno di un set ormai cristallizzato di parole d’ordine, pensieri e formule che ha fatto crescere il settarismo e la pretesa di essere sempre e comunque nel giusto.

Un irrigidimento alimentato anche da una drammatica perdita di status alla quale ci si è arresi ma che nel proprio intimo si continua a negare. Nata dalla trasformazione dell’intellettuale politicamente impegnato, capace un tempo di mobilitare le coscienze con la forza delle sue idee, in qualcosa di simile ad un attore di seconda fila all’interno del grande circo mediatico-giornalistico contemporaneo. 
Un tempo si era - militando da intellettuale a sinistra - il sale della terra, l’avanguardia delle masse, la coscienza critica del mondo, l’interprete autentico dei sentimenti individuali e collettivi, le guide certe verso il futuro. Ci si deve oggi accontentare di stare in televisione a discettare di tutto un po’ insieme al comico e alla soubrette; di partecipare all’ennesima presentazione in pubblico dell’ultimo libro dell’amico; di scrivere articoli su giornali che sempre meno persone leggono; di qualche intervista mediata dall’ufficio stampa della propria casa editrice; di andare all’ennesimo festival dove si incontrano le stesse persone viste la settimana precedente. Pura routine professionale, battaglia delle idee tra sodali in versione impiegatizia.

Persa l’autorevolezza che l’intellettuale di sinistra aveva, intrisa di un fascino spesso magnetico, tutto ciò che sembra rimanere è la visibilità, per alimentare la quale l’importante è non uscire mai dai ranghi e fare, per quanto possibile, gruppo. Un tempo andare controcorrente era un segno distintivo. Oggi la sinistra è, fateci caso, il mainstream, il luogo di raccolta delle idee convenzionali e scontate. 

Combatte non a caso le stesse battaglie “ideali” dell’industria globale della moda, delle star hollywoodiane e dei guru del marketing planetario. Un tempo, in quanto esponenti della sinistra culturale che lavorava per spianare la strada a quella politica, si era contro lo status quo e l’ordine costituito. Difficile oggi lottare contro un sistema di potere del quale si è, talvolta senza nemmeno rendersene conto, un ingranaggio nemmeno ben retribuito.
Insomma, una resa intellettuale a tutto campo rispetto alla storia da cui si proviene, nel segno del conformismo ideologico e dell’omologazione a valori e stili che un tempo essa denunciava, e che per reazione hanno finito per alimentarne l’intransigenza, lo spirito di pregiudizio e l’insofferenza verso chiunque non faccia parte del suo stesso mondo. Il risultato? Togliere la parola a chi ha idee diverse dalle proprie. Beninteso, con le migliori intenzioni e per una buona causa. 

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