Paolo Balduzzi
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Riforme al palo/ I frenatori “silenti” della marcia di governo

di Paolo Balduzzi
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Venerdì 24 Settembre 2021, 00:08

Traguardi e obiettivi. O, se vogliamo utilizzare i termini specifici dei documenti europei, «milestone e target». Sono queste le due parole che gli italiani impareranno a conoscere nelle prossime settimane e, aspetto più sostanziale, sono questi i due fulcri intorno a cui ruoterà l’implementazione del Piano nazionale di ripresa a resilienza (Pnrr) italiano. Soprattutto dopo le parole che il premier Mario Draghi e il presidente di Confindustria Carlo Bonomi hanno pronunciato ieri.
Che cosa significa? Che la Commissione europea, nel definire le regole di adesione al Recovery fund, si è giustamente preoccupata di specificare che l’erogazione delle rate dei fondi dovrà essere condizionata al raggiungimento di obiettivi quantitativi, i target, e di obiettivi qualitativi, i milestone. 
In altre parole, traguardi e obiettivi sono gli strumenti che misurano i progressi compiuti verso la realizzazione di una riforma o di un investimento e che definiscono se il cosiddetto “cronoprogramma” del Pnrr è rispettato oppure no. 
Purtroppo per il nostro Paese, l’abbondante ed entusiasta progettualità iniziale, che ha già fruttato l’anticipo di 25 miliardi di euro da parte dell’Unione Europea, si sta già incagliando di fronte all’incapacità di realizzare i primi obiettivi.

Lo ha spiegato molto bene ieri Andrea Bassi proprio sul Messaggero: entro l’anno vanno portati a termine 51 obiettivi, ma all’appello ne mancano ancora una enormità. 
Vero è che, come spesso accade, le scadenze europee si sono spesso piegate a necessità politiche: ma un conto è se tutti gli Stati coinvolti fossero in ritardo, un altro è se ad essere in ritardo fosse solo l’Italia. E se davvero il nostro Paese fallisse nello sfruttare appieno e in maniera efficiente la potenza di fuoco del Recovery fund, le conseguenze, per noi e per tutta l’Unione Europea, sarebbero facilmente intuibili. Lasciamole quindi perdere, almeno per ora, se non altro per scaramanzia. 
Più interessante è provare a concentrarsi sulle cause di questi ritardi, che sono innanzitutto riconducibili a un certo modo di fare politica. Il governo di Mario Draghi è sostenuto da una maggioranza fortemente variegata; di fatto, con la notabile esclusione di “Fratelli d’Italia”, vi aderisce l’intero arco parlamentare. 
La diligenza, per utilizzare un’espressione consumata ma sempre efficace quando si tratta di finanze pubbliche, non è mai sufficientemente ricca da soddisfare tutti. E proprio l’abbondanza di fondi non fa che aumentare la necessità di continue negoziazioni per ottenerne l’assegnazione e, soprattutto, la gestione. 
Ma a rallentare la macchina del Pnrr non è solo questo eccesso di domanda di risorse.

Anzi, è soprattutto il suo contrario: la resistenza al cambiamento posta in atto da diverse anime del governo stesso. Alcuni di questi frenatori, visibili e rumorosi, ne fanno vere e proprie battaglie politiche, come il leader della Lega, Matteo Salvini. 


Il tira e molla estivo sul Green pass, per esempio, ne ha probabilmente rallentato l’introduzione e la diffusione, con conseguenze che stiamo ancora pagando. Tuttavia, molto più pericolosi e subdoli appaiono i frenatori silenti e nascosti, quelle forze politiche che anche in una situazione straordinaria ed emergenziale come questa non rinuncerebbero per nulla al mondo alle loro bandiere ideologiche. 
Si pensi, per esempio, alla resistenza della sinistra più estrema a sviluppare un serio dibattito sulla riforma del lavoro; o alla riforma della giustizia, addirittura delegata a dei possibili referendum primaverili tanto poca è la volontà del parlamento di metterci mano. Per non parlare della riforma fiscale, rimandata di settimana in settimana nonostante la ricca attività di consultazione realizzata dalle commissioni parlamentari sin dai primi mesi dell’anno. O, infine, alla regina delle riforme, quella della burocrazia. Perché, tra l’altro, è proprio la burocrazia che costituisce un’ulteriore causa del ritardo italiano. 


Sia chiaro, non si tratta di un problema nuovo e inaspettato, tanto è vero che ormai da anni la Commissione europea, nelle sue raccomandazioni annuali, chiede al nostro Paese una riforma della pubblica amministrazione. Richieste cadute regolarmente nel vuoto: continuiamo a osservare investimenti perennemente in ritardo, a subire pratiche infinite, e a sperimentare iter faticosi e incomprensibili. 
A quanto pare, peraltro, non è solo un problema di singoli cittadini o imprese. Anche i commissari straordinari, appositamente nominati dal Governo per sbloccare le opere pubbliche, si lamentano per la mancanza di risorse, di personale, di collaborazione. La dialettica politica richiede tempo, è evidente; ma la diffusione di una cultura politica troppo frequentemente portata a dire no e al conservatorismo, a destra così come a sinistra, esaspera cittadini e imprese che invece si aspettano risposte al più presto. 
Non saranno allora le bollette energetiche troppo elevate a frenare la crescita economica. Se già dai prossimi giorni Draghi non sarà in grado di imporre la propria leadership e di sbloccare le riforme, la ripresa che stiamo sperimentando sarà solo un’illusione di breve periodo. E il Pnrr l’ennesima occasione sprecata.

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