Angelo Ciancarella
Angelo Ciancarella

Nuovi modelli/ Una riforma radicale per cancellare la giustizia-spettacolo

di Angelo Ciancarella
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Mercoledì 7 Dicembre 2022, 00:10

Un “vasto programma” per la giustizia, pur nella consapevolezza che in Italia «il potere interdittivo è l’unico realmente efficace, in grado di bloccare qualsiasi iniziativa, anche la più virtuosa». Un vero «ostacolo allo sviluppo del paese», il cui primato spetta alla giustizia, che lo “esercita” anche in modo indiretto, generando «l’autocensura preventiva dei pubblici ufficiali». Le tesi di Carlo Nordio sono ben note ai lettori del Messaggero e il suo averle ricordate ieri ai senatori della commissione Giustizia non sarebbe una “notizia”; ma lo diventano quando si trasformano nelle “linee programmatiche” di governo esposte in Parlamento. 

Nelle sue parole non c’è solo il coraggio delle idee o l’orgoglio per una «riforma rivoluzionaria»; c’è anche il confronto serrato con i numeri: se 5 mila procedimenti per reati contro la Pubblica amministrazione producono 9 condanne definitive, vuol dire che molte leggi sono inefficaci e producono «incertezze, sinonimo di corruzione»; i relativi procedimenti sono inutili e i costi sostenuti del tutto ingiustificati. Se le intercettazioni telefoniche costano 400 milioni l’anno ma non sono determinanti per nessuna condanna, e anzi, con la loro divulgazione, fanno scempio della vita privata di persone partecipanti alle conversazioni e neppure indagate, allora lo strumento deve essere ricondotto alla funzione originaria di ricerca della prova di un reato avvenuto, non di “perlustrazione” in cerca di notizie di reato. 

Arriva a dire che le intercettazioni utili dovrebbero essere soprattutto quelle preventive, segrete benché autorizzate e sotto il controllo del pubblico ministero, per prevenire i delitti più gravi, soprattutto di criminalità organizzata. Strumento delicatissimo (e pericolosissimo), a cavallo tra gruppi speciali delle forze di polizia, apparati di intelligence e governo (ministro dell’Interno). Ma il guardasigilli, che è e resterà estraneo a tale strumento, chiede di potenziarlo per segnalare che non viene meno l’impegno nei confronti della criminalità organizzata, poi richiamato anche nell’ambito della cooperazione internazionale. 

Quel che deve finire è la giustizia-spettacolo, l’immagine del magistrato-combattente o lottatore contro il crimine, spesso presunto. Lo Stato, non i giudici e neppure i pubblici ministeri (ai quali concede tuttavia una parziale deroga) deve combattere i fenomeni criminali. I magistrati devono perseguirne gli autori nei processi, nei rispettivi ruoli di giudice e Pm, ruoli essenzialmente di garanzia e di rispetto delle regole. Anche i passaggi sulle carceri confermano le idee di Nordio, che supera l’apparente contraddizione fra la sua visione garantista (non unanime nella maggioranza di centrodestra) e quella giustizialista: «Il garantismo è presunzione di innocenza nel processo ed è certezza della pena in caso di condanna».

Nulla a che vedere con i nostri atteggiamenti contraddittori: «Disposizioni severe e attitudini perdoniste, giustizia lunga e fiato corto, che vuole intimidire senza reprimere e redimere senza convincere».

Non per questo le modalità della sanzione possono violare la dignità delle persone detenute, come avviene ora per il degrado di molte strutture penitenziarie, ad elevato tasso di suicidi. Lì devono confluire maggiori risorse, anziché i tagli al momento previsti e che il ministro non dispera di impedire. Linee programmatiche impegnative, esposte al Parlamento ma rivolte soprattutto alla magistratura e al suo Consiglio superiore, del quale ha deplorato (ma qui i destinatari sono i partiti) il tardivo rinnovo e la proroga del Consiglio scaduto, con l’ormai certo rinvio all’anno nuovo dell’elezione dei dieci componenti “laici”. E rivolte in particolare ai pubblici ministeri, le cui prerogative e funzioni sono sostanzialmente esenti da controlli e immuni da responsabilità, con «il principio di obbligatorietà trasformato in intollerabile arbitrio». L’unicità delle carriere era conforme al vecchio Codice processuale (semmai era quest’ultimo a essere contrario alla Costituzione) e alle funzioni allora attribuite all’accusa; ma è del tutto impropria nell’assetto del Codice Vassalli, in cui il Pm è parte sì, pubblica, ma tutt’altro che “terza”, con poteri esecutivi incisivi quale capo della polizia giudiziaria. Il sistema disciplinare, poi, è incostituzionale e assurdo, perché a scegliere i giudici (i componenti del Csm che formano la speciale sezione) sono i controllati, potenziali incolpati nei futuri giudizi.

Almeno gli ultimi due punti richiedono modifiche costituzionali, evocate quasi sottovoce dal ministro a chiusura del suo intervento. Ciò rende difficile realizzare il programma. Ma ieri è stato delineato per la prima volta un modello di giustizia molto diverso dall’attuale e mai ipotizzato da nessun governo, alle prese con emergenze tra loro consecutive (terrorismo, mafia, corruzione) o vicende personali di ministri e presidenti del Consiglio i quali, illudendosi di ridimensionare la magistratura, hanno in realtà rafforzato il suo potere corporativo e assecondato (con i componenti laici) la deriva del Consiglio superiore. Il caso Palamara ha rappresentato la grande occasione, finora sostanzialmente sprecata, per intervenire in modo istituzionalmente appropriato e non punitivo. I moniti del presidente della Repubblica non sono serviti. Non restano che le Linee programmatiche del ministro Nordio, le cui chances di successo dipendono dal vasto sostegno parlamentare e dalla qualità della composizione del nuovo Csm, a sua volta condizionato (per i componenti laici) dalle scelte, ancora in alto mare, del nuovo Parlamento.

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