Carlo Nordio
Carlo Nordio

L’appello di Cartabia/ I magistrati e la statura perduta da recuperare

di Carlo Nordio
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Mercoledì 23 Giugno 2021, 00:20

Parlando a Taormina, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha deplorato la perdita di fiducia degli italiani nella magistratura; ha annunciato una serie di riforme radicali, e ha aggiunto che queste non saranno sufficienti senza un qualcosa «di più nobile e più alto». Ma soprattutto ha pronunciato una frase terribile: «Dobbiamo fare di tutto perché il giudice torni ad essere con quella statura che la Costituzione gli chiede nel momento del giuramento. L’art. 54 chiede disciplina e onore». Perché sono parole terribili? Perché Cartabia non ha detto che i magistrati devono “tenere” quell’alta statura, ma che devono recuperarla. Il che significa che l’hanno perduta. Nessun guardasigilli si era mai espresso in termini così severi in questi ultimi 25 anni. Eppure da tempo gli italiani hanno perduto la fede, e anche la speranza, nella giustizia e in chi l’amministra. E allora perché queste parole proprio ora? Le ragioni, a nostro avviso, sono tre. 

La prima è la personalità e l’autorevolezza di chi le ha pronunciate. Cartabia è stata presidente della Corte Costituzionale, ha una competenza tecnica straordinaria, e soprattutto, non avendo mai fatto politica, non ha quella vulnerabilità di chi ha partecipato a competizioni elettorali, dove un’inchiesta su corruzioni o scambi di voti è sempre in agguato. In altre parole non corre il pericolo di esser raggiunta da un’informazione di garanzia o peggio di finire sui giornali per la pilotata divulgazione di intercettazioni ambigue. Circostanze che hanno eliminato ministri, sindaci ecc. successivamente prosciolti senza nemmeno le scuse. 

La seconda è il disgusto dei cittadini davanti agli scandali che hanno travolto e stanno travolgendo la magistratura. Il sistema Palamara ha rivelato il mercimonio dei voti e della cariche negli alti gradi delle toghe. Peggio. Le ammissioni dell’ex capo del sindacato hanno consolidato il sospetto che alcune indagini fossero rivolte ad eliminare personaggi sgraditi: la frase “Salvini è innocente ma bisogna attaccarlo” è deplorevole in bocca a un politico ma è un sacrilegio in quella di un giudice. Come se questo “mercato delle vacche” (espressione usata da un alto magistrato) non fosse bastata, ecco lo scandalo di Milano. Un sostituto accusa il suo capo di aver imboscato un’inchiesta su una loggia segreta, e quel che è peggio passa i verbali secretati a un membro del Csm che, peggio del peggio, li mostra a un parlamentare in un sottoscala. Poi, sempre a Milano, un procuratore aggiunto viene indagato per aver omesso il deposito di atti essenziali in un processo costato milioni e risoltosi nel nulla, con una reprimenda del tribunale; infine il Csm, che già era stato decapitato dopo le rivelazioni di Palamara, tenta maldestramente di mettere il coperchio sulla pentola radiando quest’ultimo con un processo sommario, e fingendo che per il resto vada tutto bene.

Come se questo non bastasse, ecco la recente infelicissima sortita del rappresentate dell’Anm, che di fronte alla prospettiva del referendum ha minacciato una “forte reazione”.

Il cittadino allarmato si domanda che reazione possa essere, e si augura che non sia quella che nessuno oserebbe nemmeno pensare, cioè un uso strumentale dell’enorme potere di cui dispongono le procure. In ogni caso è una la contraddizione che svela l’arroccamento autoreferenziale di questo sindacato, che si era opposto all’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema Palamara, sostenendo che il Parlamento non poteva interferire con la magistratura, e ora si oppone al referendum sostenendo che il popolo non può interferire sul Parlamento. Insomma, dovremmo tutti accontentarci dell’autocertificazione di virtù dell’Associazione Nazionale Magistrati. Non ci crede più nessuno, e men che mai ci crede la Cartabia.

La terza ragione riassume le altre due. La politica ha chinato il capo negli ultimi 25 anni davanti alle toghe, perché la prima era debole e le seconde forti. Ora le parti si stanno invertendo. Draghi - e Cartabia - sono inamovibili, per le ragioni che sappiamo. La magistratura invece è ai minimi storici di credibilità e di fiducia. E’ di ieri la diffusione della notizia che il poliziotto di Roma che ha ferito un ghanese che seminava il panico brandendo un coltello è stato iscritto nel registro degli indagati: sarà anche un atto dovuto, ma è una flagrante, ennesima violazione del segreto istruttorio che rivela quantomeno un difetto di vigilanza da parte di chi avrebbe dovuto assicurarlo. E’ presumibile che anche presso le forze dell’ordine crescano le perplessità verso i magistrati manifestate dalla ministra della Giustizia.

Riuscirà tuttavia quest’ultima a realizzare le radicali riforme promesse, di cui si sa ancora poco o nulla? Ne dubitiamo. Non solo perché per esser efficaci richiedono tempo ed energie, e le priorità del governo in questo momento sono altre. Ma soprattutto perché le riforme le fa il Parlamento, che nell’attuale composizione non è disponibile ad assecondare una volontà realmente innovatrice. Forse sarà il referendum a dargli uno scossone, ed è per questo che molti lo temono. Ma è comunque incoraggiante che la ministra abbia dimostrato due delle tre doti fondamentali che Gibbon richiede allo statista: il cervello per comprendere, e il cuore per decidere. La terza, il braccio per eseguire, non dipende da lei. Ma con questo atto di intelligenza e di coraggio Cartabia ha già ipotecato, per il futuro, un posto d’onore nella Giustizia. E forse anche più in alto. 

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