Alessandro Campi
Alessandro Campi

Rapporti di forza/ Veti incrociati e patti segreti nella corsa per il Colle

di Alessandro Campi
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Mercoledì 12 Gennaio 2022, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:20

Più s’avvicina il Grande Giorno, quando si comincerà a votare per il nuovo Capo dello Stato (che dalle parti del Pd ancora si spera possa essere quello uscente), più ogni frase, parola, sussurro, movimento o espressione del volto di questo o quel leader politico diviene oggetto d’una esegesi minuziosa, alla ricerca di segnali o indizi che possano farci capire come andrà a finire la corsa per il Quirinale. 

Anche se, in verità, l’arte divinatoria applicata al teatro politico nazionale rischia di offrire responsi generici o, peggio, inutilmente contradditori. Draghi parla vagamente del suo futuro? Segno evidente che vuole andare al Colle. Draghi non dice nulla sul suo futuro? Segno evidente che vuole andare al Colle. A quale responso credere? 

Facciamo un altro esempio, che anch’esso sta sollecitando interpretazioni, spiegazioni e tentativi di decifrazione. Perché Berlusconi, peraltro un attimo prima che Draghi tenesse la sua conferenza stampa, ha detto che il suo partito non si sente vincolato a sostenere un governo che non sia guidato da quest’ultimo? Enrico Letta ha interpretato queste parole, con prosaica brutalità, come un ricatto politico bello e buono. 

In realtà, esiste un problema politico oggettivo se Draghi dovesse essere eletto Presidente della Repubblica. Come possono sopravvivere, senza più lui a tenerli uniti e a farli funzionare, un governo e una maggioranza parlamentare che sono stati costruiti interamente intorno alla sua persona? 

Non a caso, prima di Berlusconi, Salvini aveva già detto la stessa cosa. E cioè che la Lega difficilmente farà parte di un esecutivo che sia guidato da una personalità diversa da quella dell’ex Presidente della Bce. E parole molto simili, anche se sembra averlo dimenticato, aveva usato lo stesso Letta appena una settimana fa.

Si parla, come possibile soluzione a questo inghippo, di un altro tecnico al posto di Draghi - Marta Cartabia o Daniele Franco. Ma chi altri, a parità eventuale di competenze, potrebbe avere la sua stessa autorevolezza sul piano politico (interno e internazionale)? Quanto all’ipotesi di un nuovo premier che sia un esponente di partito (si è sentito di tutto in questi giorni: Brunetta, Di Maio, Giorgetti, Renzi ecc.), facile prevedere i veti incrociati tra le forze politiche che fanno parte dell’attuale maggioranza.

Riuscite a immaginare i grillini che sostengono un esecutivo guidato dall’economista principe del berlusconismo? Salvini che appoggia il suo ex-collega vice-premier dei tempi del governo giallo-verde? La sinistra che offre i suoi voti a un leghista per quanto in odore di anti-salvinismo o, peggio ancora, Letta che manda a Palazzo Chigi colui che da Palazzo Chigi lo sfrattò? 

Insomma, dire che se Draghi viene eletto come Capo dello Stato questo governo cade perché non ha alternative praticabili, ergo si dovrà andare al voto anticipato, più che una minaccia politica sembra tanto una ragionevole previsione.

Ma se il Cavaliere ha detto quel che ha detto, in quella forma e con quella tempistica, forse è anche per altre ragioni.

Una banale e prosaica: il leader di Forza Italia, da quel grande comunicatore che è, sa bene che ogni occasione è buona per prendersi la scena, soprattutto quando lo si può fare a detrimento di un competitore più o meno diretto, quale Draghi è per lui oggettivamente in questo momento. La conferenza stampa di quest’ultimo doveva essere il fatto politico del giorno. Berlusconi è riuscito a far diventare una notizia da prima pagina anche la sua dichiarazione anti-draghiana.

Assai più seria e dirimente è invece la ragione politica alla base di una sortita che, a considerarla bene, è stata tutt’altro che sorprendente o improvvida sortita: Draghi, ormai lo si dovrebbe essere capito, non è il candidato quirinalizio sul quale il centrodestra intende puntare, almeno in prima battuta. Con i numeri a quest’ultimo favorevoli che ci sono stavolta in Parlamento (tenuto conto anche delle anime politicamente perse che vagano nei suoi corridoi e che esso cercherà di portare in quota decisiva dalla propria parte) Berlusconi, se proprio non potrà fare il Capo dello Stato, come cuore e ragione in fondo gli suggeriscono, vorrà comunque essere, per conto della coalizione politica di cui resta l’inventore, l’ispiratore e il padre nobile, l’artefice principale dell’accordo politico sul nome del futuro inquilino del Colle. 

La politica è fatta di numeri e rapporti di forza. Stavolta tocca al centrodestra proporre e al centrosinistra (eventualmente) convergere. Questo, semplicemente questo, ha voluto dire Berlusconi dicendo quel che ha detto. 
 

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