Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Tempi stretti/ Quell’arbitro che i leader devono trovare insieme

di Paolo Pombeni
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Mercoledì 26 Gennaio 2022, 00:28

Quella che si sta giocando è una partita complicata che ha per oggetto il futuro del paese. Non perché riguardi la ricerca di qualche salvatore da insediare al Quirinale o a Palazzo Chigi, ma perché si sta affrontando un passaggio da cui dipenderà e su cui verrà giudicata la tenuta del “sistema Italia”. Se non ci si mette in quest’ottica, non si capisce la posta in campo.

Ce l’ha ricordata con notevole brutalità il commissario europeo al Bilancio Joahnnes Hahn, che in buona sostanza ha affermato che l’Europa vuole stabilità della situazione attuale (leggi governo Draghi) «perché vediamo che ci sono molte assicurazioni e fiducia che i soldi saranno ben spesi». E, tanto per non lasciare dubbi, si è detto confidente che i grandi elettori siano «pienamente consapevoli della posta in gioco». Per carità, Hahn viene dal partito popolare austriaco, cioè da quei frugali che hanno poca simpatia per le virtù degli italiani e avremmo anche il diritto di chiedergli “come si permette”, ma non possiamo ignorare che con vari comportamenti degli ultimi anni ci siamo messi da soli nella condizione di essere sottoposti agli aggrottamenti di sopracciglia di tutte le signorine Rottermeier di passaggio.

Saltando su questi aspetti, resta il problema di fondo della tenuta del nostro sistema di governo, di cui il presidente della Repubblica è senz’altro una componente per l’arbitraggio, ma il presidente del Consiglio è inevitabilmente il perno per la governabilità.

E’ inutile nascondersi dietro un dito: siamo in una situazione delicata da più punti di vista, sul piano sanitario, su quello economico, su quello delle relazioni europee e internazionali, e in definitiva su quello della tenuta complessiva della società. E’ questa situazione che ha costretto i partiti ad accettare lo scorso anno la grande tregua di un governo che superasse il dualismo secco destra/sinistra che, fino ad un certo livello, si era imposto dopo la fine della prima repubblica. 

Si è reso necessario il passo di affidare la guida del governo nelle mani di una eminente personalità “politica” scelta fuori del circuito di selezione dei partiti (perché questo è Draghi, ben più che un “tecnico”, parola che significa molto poco). Adesso continua a porsi il tema se sia possibile sostituire alla ottima soluzione trovata allora una nuova che sarebbe inevitabilmente di diverso conio. Non è solo questione di cosa avviene se Draghi viene “promosso” al Quirinale, nel senso di trovare qualcuno che lo sostituisca degnamente e tutto finisce lì. 

E’ piuttosto il tema se non diventi evidente che la sua eventuale ascesa al Colle significhi lo scioglimento di quell’accordo di governo e di quell’opzione che Mattarella aveva sapientemente costruito di fronte alla crisi di un parlamento che non aveva più la capacità di costruire tradizionali maggioranze politiche in grado di governare.

Come lasciano intendere i rumors sulle varie aspettative dei partiti su come riappropriarsi dei vari ministeri, il tema è già presente ai loro gruppi dirigenti, anche se per decenza viene naturalmente negato che sia stato posto.

Per quel che appare nelle ultime ore sembra che la prospettiva di aprire un grande confronto, inevitabilmente al buio, sulla ricerca di una nuova formula di governo venga sempre più considerata rischiosa e che di conseguenza si stia cercando di mettere al sicuro quella che c’è e che, con gli inevitabili limiti delle cose umane, ha funzionato bene. 

Di conseguenza il tema diventa come si possa trovare una soluzione per il Quirinale che si inserisca in questo sforzo di far proseguire il paese sulla via della stabilità e che anzi possibilmente lo rafforzi. E’ ovvio che a questo punto si debba valutare una soluzione “politica”. Come dicevamo all’inizio, anche Draghi a Palazzo Chigi è stata una soluzione politica, anzi di alta politica. 

Dunque il tema non è trovare in astratto il nome di un esponente delle filiere partitiche il quale possa riaffermare per una malsana pruderie che una di essa si è ripresa il centro del palcoscenico, magari pretendendo di farlo in nome dei diritti di tutte le altre e della storia di questo paese (la vecchia repubblica dei partiti). Non sarebbe una buona soluzione, anzi non sarebbe per nulla una soluzione, perché semplicemente destabilizzerebbe quel quadro che è stato costruito (non senza coraggio e fatica) e che ha dato buoni risultati.

Si tratta dunque di spingere i partiti a fare davvero lo sforzo di dare al paese quell’arbitro autorevole (cioè rispettato da tutti) che è necessario visto il non semplice passaggio elettorale che avremo davanti fra non molto e quel gestore delle complessità che nascono da un insieme di forze in lotta fra loro, gestore senza il quale non può garantirsi la prosecuzione dello sforzo necessario per mettere a frutto le opportunità che contiamo di avere davanti evitando di cadere preda delle tensioni che un periodo difficile come quello che stiamo vivendo ci lascerà in eredità.

Occorre un uomo o una donna di esperienza, di senso politico e di equilibrio, qualcuno che abbia molta pazienza e sagacia per cooperare nell’operazione di portare il paese fuori dalle incertezze di una lunga fase di passaggio.
 

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