La cosiddetta questione Caivano sta dando luogo ad una pericolosa confusione di idee. Si rivendica il diritto alla sicurezza attraverso un inasprimento delle pene nei confronti dei minori. Quindi il cambiamento del concetto stesso di punibilità, che oggi non consente di applicare a soggetti ritenuti privi della capacità di discernere l’illecito penale, le stesse pene che si infliggono ai maggiorenni.
Appartiene alla civiltà giuridica la convinzione secondo la quale la punizione viene inflitta al soggetto capace di intenderne le ragioni per le quali deve subirla. Il ragazzino da educare, anzi travolto dalla assoluta mancanza di regole, non è ritenuto capace di intendere le ragioni della sofferenza che gli viene praticata con la pena. Perciò le pene, nel caso dei minori, sono comunque tendenti a fornirgli, per il tempo necessario, la educazione che non ha ricevuto.
È chiaro che questo sistema civilissimo accettato da tutti i paesi dotati di sufficiente consapevolezza giuridica, è difficile da mantenere quando una serie enorme di fattori della più varia natura, economici, geografici, e comunque storici, in realtà ci mettono di fronte a ragazzini pericolosissimi per la loro insipienza. In questi giorni si sente di tutto. Puniamo i quattordicenni che sparano come i cinquantenni, come si punisce il cinquantenne. Ma la difficoltà è proprio questa. Mantenere un livello di civiltà che garantisca alla sanzione penale inflitta, la sua funzione storica, che è quella di essere l’ultima barriera alla quale gli ordinamenti si rivolgono per contrastare i comportamenti che vietano.
Ultima barriera, perché le barriere che debbono precederla, l’educazione, l’esempio, la riprovazione sociale, la morale civile, ed il sistema delle morali culturali tra cui quelle religiose, hanno fallito. Quando appunto tutte queste barriere sono state saltate allora non vi è altro da fare che punire.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout