Mario Ajello
Mario Ajello

Strategie comuni/ Quanto serve un nuovo Pd ispirato al M5S

di Mario Ajello
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Lunedì 13 Marzo 2023, 00:12

La domanda è: all'Italia serve un doppione del Movimento 5 stelle? Il rischio è proprio che il nuovo Pd diventi una copia del partito di Conte. Se è questa la gara innescata dall’arrivo di Elly Schlein alla segreteria del Pd, ossia a chi è più di sinistra, è evidente che i bisogni della maggior parte dei cittadini - crescita, sviluppo, infrastrutture, Paese forte e competitivo - non sembrano contemplati o posti in cima all’agenda politica. Poi si vedrà nella pratica che cosa farà questo partito, a cui è stato aggregato ieri come presidente e magari come bilanciatore Bonaccini, e intanto però nulla pare distinguerlo sia negli obiettivi sia nel merito - stando alle dichiarazioni d’intenti della segretaria - dalla cultura di Conte. Il salario minimo da fare insieme (al netto di leggerissime sfumature); il no al job act renziano e alla legge Fornero; la riduzione dell’orario di lavoro; le teorie sulla transizione ecologica e il rifiuto delle trivellazioni e del nucleare: la coincidenza, anzi la sovrapposizione, giallo-rosé è in tutto questo e in tanto altro. 

Il Pd come clone di M5S potrebbe significare l’astrattismo o il sociologismo al posto dei piedi per terra. Tutto un «abolire il patriarcato» (slogan originario di Schlein), teoremi benecomunisti (combattere il riscaldamento globale a colpi di nuove tasse), proclami sui diritti (più che richiami alla pratica dei doveri), appelli generici alla lotta contro le diseguaglianze, introduzione di nuove imposte da quella sulla plastica a quella sulle donazioni e sulle successioni. Che M5S, per lo più partito d’opinione (al netto del fatto che ha sfruttato materialmente il reddito di cittadinanza alle ultime elezioni), abbia la sua costituency nel radicalismo ci può stare.

Ma il Pd, che dovrebbe essere abituato a interagire con gli interessi reali del Paese e delle sue forze produttive, una deriva più visionaria che sostanzialista non dovrebbe potersela permettere. Eppure, per certi aspetti, i nuovi dem sembrano perfino più generici dei contiani sugli aiuti alle imprese e nel rapporto con gli imprenditori (sotto sotto sospettati di «neoliberismo», ossia massima turpitudine). E di fatto, giovedì al congresso della Cgil a Rimini, sia Schlein sia Conte saranno lì a fare a gara a chi è di più dalla parte di Landini. 

Quanto alla guerra, il timore di sembrare meno pacifisti del concorrente può portare i dem ad ammosciare la linea pro Ucraina. Mentre c’è corrispondenza tra i due partiti sulla legalizzazione dalla cannabis e sullo ius soli. Anzi su questo Conte è più prudente della collega (si limita a parlare di ius scholae), la quale è più a sinistra di lui sul tema immigrazione (l’ex premier gialloverde è pur sempre il coautore dei decreti Salvini). 
Il patto con Bonaccini diventato presidente può essere sperabilmente un modo, da parte della leadership dem, per non perdere il rapporto con i sindaci e con gli amministratori locali, ossia con quel mondo della politica costretta a fare fatti e non a inerpicarsi sulle nuvole. Dalle quali un Pd doppione di M5S sarebbe destinato a non capire le esigenze degli italiani e a diventare la prima vittima di se stesso.

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