Alessandro Campi
Alessandro Campi

Priorità invertite/ La finta crisi di governo e quella vera per il virus

di Alessandro Campi
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Lunedì 14 Dicembre 2020, 00:10

Rimpasto, verifica, ribaltone, cabina di regia, rilancio… Di questo si parla ormai da giorni nei palazzi del potere e nelle interviste ai diversi leader di partito. Se non fosse per la pandemia, sarebbe persino interessante. Il problema è che in questi giorni gli italiani hanno ben altri pensieri in testa. Su tutti, come evitare di ammalarsi e come festeggiare le prossime festività natalizie senza intristirsi troppo. 


Senza dimenticare i molti cittadini la cui preoccupazione principale, ormai da mesi, è come far quadrare i conti in famiglia. Hanno poi una speranza nemmeno tanto segreta: che arrivi presto il vaccino e che soprattutto funzioni.


Se questo è il sentimento diffuso nella società, quanto può interessare il balletto che si è aperto intorno al futuro di Conte e del suo governo? Davvero poco, tanto più che il rischio serio, come spesso capita nella politica italiana, è che Renzi, Salvini, Zingaretti, Di Maio & C. stiano facendo tanto rumore per nulla. 


Che possibilità reali ci sono che si vada ad elezioni anticipate? Nessuno a ben vedere le vuole, nemmeno l’opposizione, che si dice pronta al voto senza ancora avere uno straccio di programma da offrire agli elettori. È questa la ragione per cui il Capo dello Stato le minaccia a scopo dissuasivo. 

Ma anche la possibilità che nasca un nuovo governo – con un nuovo presidente del Consiglio e magari una nuova maggioranza – sembra piuttosto remota. Cambiare il solo Conte lasciando in piedi l’attuale coalizione? Non ha davvero alcun senso politico. Puntare a un diverso equilibro tra i partiti in Parlamento? Difficile immaginare – con buona pace dei retroscena e degli scenari che ogni tanto si leggono sulla stampa – Berlusconi che rompe con il centrodestra per allearsi con Zingaretti o il M5S che, dopo un giro di valzer col Pd, torna ad allearsi con la Lega (il primo amore, secondo alcuni mai dimenticato, soprattutto da Luigi Di Maio). E’ vero che nel recentissimo passato abbiamo assistito a giravolte spettacolari nei rapporti tra partiti, tipo quella che ha fatto nascere l’alleanza giallo-verde. Ma proprio per i pessimi risultati prodotti da quest’ultima forse non è il caso di ipotizzare la nascita di altri ircocervi politico-parlamentari.


Più realistica, almeno sulla carta, potrebbe sembrare l’ipotesi – anch’essa ventilata in questi giorni – di un governo di transizione e di emergenza all’insegna del “tutti (o quasi) dentro”. Preso atto che l’attuale maggioranza è ormai troppo divisa al suo interno e che Conte non è più in grado di mediare tra le sue diverse anime (che è la ragione per cui fu scelto), non resta, secondo alcuni, che affidarsi ad un esecutivo sostenuto da un vasto fronte parlamentare. Ma una simile formula sarebbe davvero un pasticcio. Nella migliore delle ipotesi, parliamo di un ennesimo governo tecnico, al quale i partiti dovrebbero soltanto garantire una solida maggioranza. 


Ma i partiti, in vista delle decisioni sul Recovery Fund, vogliono (giustamente) decidere e contare, non essere esautorati da ministri appunto tecnici che risponderebbero, al massimo, al Capo dello Stato. Nella peggiore, parliamo di un esecutivo politico – per intenderci dalla Lega al Pd, passando per il M5S, Italia Viva e chissà quali altri spezzoni – che per definizione sarebbe ancora più diviso al suo interno dell’attuale e fatalmente condannato all’impotenza. 
Resta l’ipotesi minimalistica e forse al momento più gettonata: quella del mitico rimpasto. Il che significa spostare qualche casella con l’obiettivo di tacitare i critici di Conte suoi alleati. Ma Renzi, visto che parliamo di lui, ha detto chiaramente che non è interessato ad alcuna poltrona. Lo prendiamo sul serio, sino a prova contraria. D’altro canto cosa significa rimpasto in questo frangente? Mettere mano ai dicasteri importanti equivarrebbe a modificare gli equilibri del governo e dunque farlo cadere.

Ottenere qualche ministero di minore peso non appagherebbe invece alcun appetito. Se la posta in gioco dei prossimi due-tre anni, come tutti hanno capito, è la gestione-distribuzione dei soldi che verranno dall’Europa che farsene di un dicastero di serie B o di qualche sottosegretario in più?


Ma allora – se tutte queste strade sono difficilmente percorribili o inutili da percorrere – Renzi, Salvini, Zingaretti, Di Maio & C. stanno ragionando sul nulla o, peggio, si sono irresponsabilmente inventati una crisi che non esiste? In realtà, i problemi ci sono. E anche molto seri: dalla gestione dell’emergenza pandemica (siamo ormai la nazione col maggior numero di morti in Europa) al ritardo nell’allestire i progetti strategici che, grazie al Recovery Fund, dovrebbero decidere del futuro dell’Italia per i prossimi due-tre decenni. Non parliamo poi dell’aggravarsi ogni giorno che passa della crisi economica ed occupazionale. Il paradosso è che, proprio a causa di una situazione al momento tanto drammatica e complicata, considerando altresì i mesi assai difficili che ci aspettano (compresa la possibilità di una terza ondata), non possiamo permetterci alcun avventurismo o azzardo politico. Sulla carta ci sarebbe molto da cambiare, ma semplicemente non possiamo farlo. Non ci possiamo insomma permettere alcuna crisi politica, oltre quelle grassissime, sul lato sanitario ed economico, che stiamo già vivendo.


Resta perciò – come l’unica ragionevole e praticabile – la strada che in politichese è stata definita del “rilancio”. Potremmo definirlo una sorta di reset programmatico e operativo del governo in carica, che al momento – per quante critiche gli si possano muovere – non sembra avere alcuna praticabile alternativa. Spetta dunque ai partiti che compongono l’attuale maggioranza trovare tra loro un diverso equilibrio: se non sulle poltrone, sul programma e sulle cose da fare. In particolare, tocca a loro risolvere quello che è diventato strada facendo il vero problema di questo esecutivo: il ruolo debordante e costituzionalmente discutibile che, con la scusa della gestione dell’emergenza, ha finito per assumere il presidente del Consiglio a danno delle forze politiche tra le quali avrebbe dovuto limitarsi a fare da garante e mediatore e, al dunque, dello stesso Parlamento.


Spetta infine all’attuale governo la scelta responsabile, che sinora non c’è stata a dispetto delle indicazioni del Capo dello Stato, di un coinvolgimento non formale dell’opposizione nella discussione su come mettere a punto e come eventualmente realizzare i piani e i progetti finanziati dal Recovery Fund. La collaborazione istituzionale su questioni d’interesse nazionale e di valore strategico per l’Italia è cosa diversa da discutibili formule di governi d’unità o salvezza nazionale. 


Questo governo tra ex-nemici all’ultimo sangue, per di più guidato da questo presidente del Consiglio, probabilmente non sarebbe dovuto mai nascere. Caduto il governo giallo-verde sarebbe stato preferibile il voto anticipato o, se proprio si temevano i pieni poteri a Salvini, meglio mettere alla guida del nuovo esecutivo giallo-rosso qualcuno in grado di segnare un’evidente discontinuità rispetto al recentissimo passato. 


Non si è mai visto un Capo di Governo, peraltro senza alcuna forza propria di tipo politico-elettorale, che guida in successione due maggioranze di segno politico opposto. Quest’anomalia originaria, frutto di un azzardo istituzionale o semplicemente di una cattiva scelta politica, è stata cristallizzata dallo scoppio di un’emergenza sanitaria che ancora non è finita. E che per questo impone di muoversi a livello politico con grande prudenza. In attesa del giorno in cui si potrà fare un bilancio di questi anni e scegliere, come cittadini, liberi finalmente da ogni paura, condizionamento o costrizione. 
 

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