Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Tempo scaduto/ La mentalità da cambiare per garantire la ripartenza

di Paolo Pombeni
4 Minuti di Lettura
Giovedì 15 Luglio 2021, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 00:10

Le baruffe parlamentari sul ddl Zan hanno messo in un cono d’ombra il varo definitivo del Pnrr italiano da parte della Ue. Dipende anche dal fatto che era considerato scontato che così fosse (ma i problemi che in quella sede si potrebbero avere in futuro non sono affatto archiviati). Dovremmo dunque essere al classico: avete voluto la bicicletta, adesso pedalate. Ci si può legittimamente chiedere se davvero siamo pronti a farlo. 

La sfida è enorme, non si tratta solo di spendere bene e correttamente i soldi europei in infrastrutture e quant’altro, e già non è proprio un’impresa senza incognite. E’ necessario che con quei denari si avvii la nascita di una nuova Italia, diversa dagli stereotipi che ci hanno cucito addosso con il volonteroso contributo di tanti nostri soloni in sedicesimo.


E’ qui che troviamo il problema centrale di quest’impresa che da più parti è stata etichettata come la seconda Ricostruzione.

Non si esce da una fase di stallo, se non proprio di regressione, senza un cambio di mentalità che coinvolga ampiamente l’opinione pubblica, che pervada le classi dirigenti a tutti i livelli, sul versante pubblico come su quello privato. Francamente non ci sembra di percepire un clima modulato sulla tensione a raggiungere l’obiettivo di un salto di qualità e di mentalità nel nostro modo di gestire il sistema-Italia. “Business as usual” sembrerebbe scritto su gran parte dei luoghi dove si fa politica, ma anche direzione degli affari pubblici e privati. Per carità, nel proseguire sui sentieri ben noti ci sono anche tutte le utopie e tutte le accondiscendenze ai mantra correnti: tutti vogliono essere ecologici, sostenibili, garantire ogni “diritto” possibile e immaginabile a questo e a quello, promuovere la lotta alle diseguaglianze e avanti di questo passo. Si tratta però per lo più, anche se evidentemente non sempre, di vaghe enunciazioni, della convinzione che basta dire le cose giuste perché si avverino automaticamente.


Non sarà così, in fondo lo sanno tutti e per questo le resistenze, camuffate o meno da saggezza, prudenza, visione, sono molte. Cambiare il modo di intendere il funzionamento del sistema in materia di giustizia, di fisco, di infrastrutture, di promozione dell’istruzione e della ricerca, di gestione della pubblica amministrazione, di rapporti fra stato e regioni (giusto per richiamare qualche titolo di dossier) è un’impresa che accanto all’elaborazione di programmi di intervento (assolutamente necessaria) richiede l’adesione convinta di tutte le articolazioni che dovranno farsene carico e un supporto costante da parte di un’opinione pubblica che affianca con un suo coinvolgimento questo passaggio complicato.


Siamo pronti per tutto questo? Senza fare dello scetticismo di maniera che non serve a niente, ci pare onesto rilevare che non si sta ancora lavorando con la dovuta intensità a questa “rivoluzione culturale”. Gioca anche una certa sfiducia nella capacità della gente a farsi coinvolgere in queste atmosfere. Eppure proprio con la vittoria della nostra nazionale agli europei abbiamo visto come si possa trovare un coinvolgimento di sentimenti popolari in un riscatto rispetto a degli stereotipi che ci pesavano addosso. D’accordo, magari il terreno era favorevole, il calcio è una passione nazionale, ma dopo che il C.T. e la squadra avevano mostrato un’Italia diversa. Però le istituzioni, Mattarella e Draghi, sono state pronte a capire che dovevano essere presenti ed essere parte in senso forte di questo momento. 


Ripetere l’operazione giorno per giorno durante gli anni in cui saremo impegnati a mettere a frutto le grandi opportunità del Pnrr non è né sarà facile, ma è quanto ci viene richiesto per non sprecare una opportunità storica. C’è una generale chiamata all’impegno di tutte le grandi agenzie che concorrono a modellare il paese: quelle della produzione e del lavoro, quelle della cultura, quelle della socialità condivisa. 


In un sistema costituzionale a base rappresentativa un motore essenziale dovrebbero essere le istituzioni della politica. Alcune si muovono con coraggio su questa via, altre perdono tempo a guardarsi l’ombelico e i tatuaggi che ci hanno ricamato intorno. Siccome lo fanno convinte che questo sia quello che “la gente” chiede, tocca all’opinione pubblica mostrare loro con chiarezza che si sbagliano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA