Vittorio E. Parsi
Vittorio E. Parsi

Interessi da tutelare/Il ruolo perduto della politica europea

Interessi da tutelare/Il ruolo perduto della politica europea
di Vittorio E. Parsi
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Lunedì 29 Marzo 2021, 00:28 - Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 00:17

Il vertice dei capi di Stato e di governo europei di giovedì scorso non è stato – né poteva essere – risolutivo rispetto ai problemi di natura politica e strutturale che stanno rendendo così complicata e lenta la reazione dell’Unione Europea nella lotta alla pandemia. Dopo tanto parlare delle “riforme strutturali” – quelle che nel gergo europeo dovrebbero rendere sempre più concorrenziale e “libero” (o selvaggio?) il mercato unico – ci stiamo accorgendo che la vera riforma strutturale che i Paesi membri non riescono a mettere in cantiere è quella di rilanciare la dimensione politica e democratica dell’Unione. 


Il punto è stato bene sintetizzato dal primo ministro italiano Mario Draghi, già governatore della Banca d’Italia e già presidente della Banca centrale europea formatosi tra l’altro anche in una delle maggiori banche d’affari a livello globale: quindi qualcuno che non è sospettabile di nutrire una pregiudiziale anti-mercatistica.


Draghi ha affermato innanzitutto che i cittadini europei si sono sentiti “ingannati” dall’azione scorretta di alcune delle grandi aziende farmaceutiche produttrici di vaccino anti Covid-19. La vicenda è nota e riguarda principalmente AstraZeneca e la mancata fornitura della gran parte delle commesse pattuite. Ponendo la questione al centro del suo intervento, Draghi ha fotografato il doppio fallimento in cui i cittadini dell’Unione si trovano intrappolati. 
Un fallimento del mercato, incapace di gestire l’incontro tra la domanda e l’offerta, innanzitutto perché gli attori oligopolistici che controllano la prima fanno prevalere le loro ragioni (la massimizzazione dei profitti attraverso una sorta di asta occulta) ai danni di quelle della seconda (la nostra richiesta di dosi vaccinali). 
Ma anche un fallimento della politica: perché spetta alla politica la protezione dei cittadini, la regolamentazione dei mercati nel nome dell’interesse generale (il mercato è un bene pubblico, gli interessi particolari degli attori più poderosi no), la tutela della salute dei residenti nell’Unione. 


In questi mesi è stato il presidente francese Emmanuel Macron – anche lui con un passato da banchiere d’affari – a sottolineare ricorrentemente e con più insistenza la necessità di arrivare a una migliore regolamentazione dei mercati, tornando a fare della loro internazionalizzazione uno strumento e non un obiettivo finale o, peggio, un “mantra”, come lo è diventato per la Ue. È un mantra dal quale anche la Ue sembra inizi a prendere le distanze, come lascia intravedere la decisione di regolare diversamente e discrezionalmente l’esportazione dei vaccini. 
Si è poi riproposto anche nel vertice di giovedì quell’allineamento italo-francese che non può che essere guardato con interesse da parte nostra.

Anche perché si spinge verso un’azione riformatrice ormai imprescindibile per il futuro dell’Unione.

Non a caso, nel suo intervento Draghi ha iniziato ad aggredire un altro tema cruciale: quell’istituzionalizzazione degli sforzi fatti verso un’Unione più efficace e coesa di cui il varo di Next Generation Eu è il primo prodotto. La sfida degli Eurobond non è infatti fine a se stessa. Implica invece la consapevolezza che, senza una radicale riforma, il progetto europeo rischia di finire incagliato né più né meno di come è accaduto alla nave cargo “Evergreen” nel Canale di Suez. La stazza della Ue è infatti ormai troppo gigantesca per poter essere efficacemente governata con le procedure attuali e con una “visione” così angusta come quelle tuttora in vigore.
Il caso Ita-Alitalia, con gli argomenti pretestuosi con i quali Bruxelles da mesi nega il via libera al progetto della nuova compagnia di bandiera italiana, sono un esempio di questa visione angusta che merita di essere affrontata in via risolutiva, rapidamente e con quanta più energia possibile. 


Quanto infine al presidente americano Joe Biden, ci si attendeva molto dalla sua partecipazione al vertice virtuale dei leader europei. Biden ha parlato bene: ha rilanciato il discorso della solidarietà transatlantica e della centralità dell’alleanza tra le democrazie per rintuzzare la sfida dei regimi autoritari. E non ha sollevato pretestuose polemiche sul fatto che l’Europa guardi anche allo Sputnik oltre che ai vaccini di Pfizer, AstraZeneca, Moderna e Johnson & Johnson, comprendendo che ciò non implica alcuna velleità di mettere in discussione alleanze e amicizie consolidate. 


Non ha fatto però quel gesto concreto che avrebbe concorso ad alleviare il ritardo europeo sulla corsa alla vaccinazione, e il cui peso simbolico sarebbe stato enorme: offrire all’Europa qualche milione di dosi tra quelle già nella disponibilità americana. Che dire? Per lo meno che è stata un’occasione sprecata, sulla quale i comuni avversari delle democrazie occidentali potranno investire politicamente. Non si sentiva proprio il bisogno di un ennesimo regalo alle macchine propagandistiche di Mosca e Pechino.

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