Ferdinando Adornato
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Pd in panne/ L’opposizione responsabile che serve al Paese

di Ferdinando Adornato
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Mercoledì 5 Ottobre 2022, 00:25

Il Partito democratico è alla ricerca di un nuovo inizio. Ebbene, c’è una strategia che può essere adottata fin da subito e che dimostrerebbe come quel partito abbia davvero capito la lezione del voto: abbandonare l’anacronistica e controproducente “postura antifascista” esibita fin qui contro la Meloni e predisporsi a un’opposizione anche dura, se occorre, ma fortemente ispirata ai valori della responsabilità istituzionale. Si badi: parliamo dello stesso tipo di opposizione che la Meloni ha tenuto nei confronti del governo Draghi. Non sarebbe ora doveroso assumere il medesimo atteggiamento? 


La nuova legge di bilancio e l’altissimo debito pubblico, la gestione del Pnrr, le risposte alla crisi energetica e alla perdurante guerra in Ucraina: il buon giorno si vede dal mattino e già da queste immediate scelte si capirà il destino di una legislatura assai delicata per il futuro dell’Italia. Così, se da una parte la Meloni ha già detto di voler governare anche a nome di coloro che non l’hanno votata, dall’altra l’opposizione dovrà saper dismettere gli ormai desueti panni “resistenziali” e giudicare il nuovo governo senza paraocchi ideologici. Diciamolo più chiaramente: il risultato elettorale ha messo il sistema Italia di fronte a un decisivo esame di maturità. Si può certo fare a meno degli esecutivi di “unità nazionale” che hanno segnato l’ultimo decennio e obbligato i partiti a cooperare. Ed è certamente un bene esser tornati a governi scelti direttamente dal voto popolare. Ma a una condizione: che, pur non rinunciando alle legittime contrapposizioni, tutte le forze politiche dimostrino di mettere al primo posto il bene comune degli italiani. 


Il che significa anteporre il dialogo al muro contro muro, la ricerca anche puntigliosa di ciò che può unire di fronte all’evidenza di ciò che divide. In altri termini l’Italia ha bisogno che sia il governo che l’opposizione, ciascuno rispettando i propri ruoli, dimostrino di non aver comunque smarrito quello spirito di unità del Paese che la grave situazione mondiale e nazionale richiedono. Ciò significherebbe anche cambiare la storia degli ultimi decenni e archiviare la Seconda Repubblica che ha trasformato la democrazia dell’alternanza, finalmente conquistata, in una sorta di retrograda guerra civile ideologica tra i mai disciolti eserciti dell’antifascismo e dell’anticomunismo. Ne saranno capaci gli attuali partiti?


È immaginabile che per Giorgia Meloni questa sia una strada più agevole. Non solo perché, come detto, ha già dimostrato di frequentarla con il tipo di opposizione fatta a Draghi e con le prime dichiarazioni da premier in pectore. Ma anche perché la leader di Fdi ha bisogno di superare le diffidenze, anche europee, che hanno accompagnato la sua vittoria e quindi non ha alcuna convenienza a esibire intransigenze e chiusure. L’accordo già trovato con Draghi sulla gestione della fase di transizione ne è la più efficace testimonianza. 
Ma il Pd e la sinistra ne saranno capaci? Indubbiamente in quel partito è forte la “cultura istituzionale” di cui, peraltro, ha fatto sempre gran vanto.

Ma sono anche forti le spinte “estremiste”, perfino esaltate dalla sconfitta. In fondo il congresso comincia oggi. Se prevarrà da subito lo spirito di un’opposizione responsabile, è probabile che, nei prossimi mesi, si imporrà nel partito l’opzione riformista. Viceversa, se si sceglierà di seguire Conte e i 5Stelle nelle loro performance “barricadere” è da prevedere per il Pd un destino di decadenza, nel quale la “testimonianza” e la “protesta” sociale prevarranno sulla cultura di governo. 


Da questo punto di vista una buona notizia è arrivata dal Terzo Polo. La disponibilità dichiarata di voler partecipare, senza alcuna remora, a un eventuale “tavolo delle riforme costituzionali” è un importante passo nella giusta direzione. Non soltanto per i motivi di metodo e di salute del discorso pubblico, fin qui esposti. Ma anche per un cruciale motivo di merito: come più volte affermato, e da più parti, una riforma dell’assetto dello Stato è urgente. Che si tratti di aprire l’era del semi-presidenzialismo (come propone il centrodestra) o quella del “sindaco d’Italia” (come propone Renzi) il prodotto non cambia: in entrambi i casi si irrobustirà una democrazia parlamentare in evidente crisi e probabilmente si limiterà anche la drammatica espansione dell’area del non-voto.


In fondo, a ben vedere, si pone oggi al Pd lo stesso dilemma che ne ha caratterizzato la campagna elettorale: abbracciare la via riformista di Calenda e Renzi o restare nel limbo di una sinistra confusa e percorsa da nostalgie per l’alleanza con Conte. Insomma: andare verso Macron o verso Mélenchon. È nota la scelta fatta, ma visti i risultati del voto sarebbe ora saggio cambiare strada. Ma si sa, non sempre la saggezza governa la politica. Bisognerebbe che il Pd si ricordasse di ciò che diceva un grande statista, Konrad Adenauer: «In un Parlamento una buona opposizione è un’assoluta necessità. Senza, si respira aria stantia e sterile». Un’aria che l’Italia non merita e che, soprattutto, non può permettersi.
 

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