Luca Diotallevi
Luca Diotallevi

Opposti estremismi/La forza del dialogo e le “verità” imposte

di Luca Diotallevi
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Venerdì 15 Ottobre 2021, 01:05 - Ultimo aggiornamento: 23:00

Dopo alcuni lustri è tornato a spirare il vento perfido della “strategia della tensione”. Un estremismo fa esattamente ciò che serve all’estremismo opposto. Non bastasse, in queste condizioni, qualcuno può vagheggiare la sospensione di una gestione trasparente e responsabile dei pubblici poteri.


Questo è esattamente ciò di cui non abbiamo bisogno. Oggi al Paese servirebbe slegare le vivacità, il confronto e la competizione per far fruttare a pieno quel carburante per la ripresa che sono il Pnrr e una voglia di rialzarsi per fortuna discretamente diffusa. Invece, ad una peste contro cui abbiamo trovato il vaccino, rischia di sostituirsi una peste peggiore per la quale è ben più difficile e costoso approntare una cura adeguata. Prima che sia troppo tardi occorre individuare con lucidità e coraggio le soglie da presidiare con tutte le forze e ritrovare in fretta la coscienza di farlo senza titubanza. 

Almeno quattro sono queste soglie e ad esse corrispondono altrettanti doveri.
Il primo è quello di una assoluta intransigenza verso il fascismo. Quello fascista non è certo l’unico regime totalitario che il Novecento ha propinato. È però quello che l’Italia ha sperimentato.
In lingua italiana il “no” fermo ad ogni totalitarismo si dice innanzitutto “no al fascismo”. Un “no ad ogni totalitarismo” che evitasse di radicarsi in un “no al fascismo” sarebbe tanto poco credibile quanto un “antifascismo” che non divenisse anche un “no ad ogni totalitarismo”.


Il secondo dovere è quello di un “no” ad ogni ad ogni forma di equivoco, condanne a metà, eccezioni, sofismi. Abbiamo già sperimentato, da sinistra e da destra, che si tratta di ipocrisie che preparano disastri e che prima o poi fanno scorrere il sangue.
Ci sono idee e simboli che di per sé sono incompatibili con libertà, democrazia e repubblica. Sono poche le idee (ed i simboli) di questo tipo e l’ostracismo verso queste poche concorre a garantire la libertà per tutte le altre idee. Rispetto a quelle idee (ed a quei simboli) anche la vaghezza delle denunce è apologia.
Il terzo dovere è quello di montare la guardia alla “sinistra cattiva”, alla “illiberal left”. È una minaccia alla libertà, alla repubblica ed alla democrazia per la sua pretesa di vincere senza giocare, di vincere “a tavolino”, di decidere quali avversari ammettere al confronto politico, in nome di una autoattribuitasi superiorità morale.

All’interno dei confini del dettato costituzionale, in democrazia lo “scettro” appartiene al “principe” e il “principe” è l’elettorato, non i pochi che – secondo le sanguinarie teorie di Rousseau e Lenin – avrebbero dei super-diritti perché solo loro saprebbero cosa è bene per tutti.


Il quarto dovere è di scuole, università, chiese e comunità religiose, giudici, associazionismo economico, famiglie, giornali e media in generale. 
Loro, ovvero il 90% della società, hanno il dovere di testimoniare – anche alla politica ed entro il perimetro del diritto – che non vi è civiltà laddove non si considera seriamente e pazientemente l’argomento opposto al proprio ed il valore alternativo a quello in cui si crede. (In più di una circostanza, il lungo dibattito pubblico tra epidemiologi ha ricalcato quello tra politici e capipopolo, invece di offrire una alternativa nelle forme prima ancora che nei contenuti). Argomenti e valori alternativi ai propri vanno presi sul serio non fino ad un certo punto o fino ad un certo momento, ma per sempre e ogni volta di nuovo. E questo non perché così si arriva finalmente alla “verità oggettiva”, ma perché solo così si garantisce che nessuna “verità” venga imposta con la forza ed una volta per tutte.

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