Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Nuovi scenari/ La politica costruttiva e la crescita del Paese

di Paolo Pombeni
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Mercoledì 2 Febbraio 2022, 00:21

Le elezioni quirinalizie per come si sono svolte hanno segnato se non la fine, certamente una svolta nella vicenda politica della cosiddetta seconda repubblica: difficile che dopo quanto è accaduto si possa continuare nella prospettiva di un sistema banalmente bipolare con la contrapposizione fra due coalizioni, una di centrodestra e una di centrosinistra. Quello era un sogno basato sul presunto teorema, che molti fanno risalire al politologo francese Maurice Duverger, secondo cui il modello del bipartitismo anglosassone (inglese e statunitense) rappresentava l’apice del sistema democratico: di conseguenza sarebbe stato auspicabile che l’Italia si adeguasse.

Non è accaduto, nonostante i tentativi e, a dire il vero, nel frattempo quel modello è andato in crisi anche in Gran Bretagna e negli Usa. Certamente da noi non ha trovato gambe su cui camminare mancando i “federatori” che in entrambe le coalizioni dei due campi li unificassero. Nel centrosinistra è apparso ben presto evidente nonostante il ricorso al “papa straniero” Romano Prodi, non proprio mantenuto a lungo in quel ruolo. Nel centrodestra è durato poco, giusto il tempo del dominio anche economico di Berlusconi, tramontato poi con una serie di cambiamenti di nome che non riuscivano a mascherare le tensioni interne alla coalizione, arrivando ora a sancire l’impossibilità di anche solo prefigurare una successione di leadership.
Questo riporta l’attenzione sulla questione politica della (ri)costruzione di un pluralismo polarizzato, per riproporre la famosa formula di Giovanni Sartori che così razionalizzava il nostro sistema della prima repubblica (e non solo): un forte centro che regolava l’accesso al governo ora della destra, ora della sinistra.

Quel centro era la Dc, ma non è questa la sede per discutere della fondatezza di questa analisi (che abbiamo solo evocato rozzamente). Interessa ora proporre alla considerazione la questione del riaprirsi di uno spazio più o meno di quel tipo nel momento in cui la coalizione di centrodestra è in crisi per le difficoltà di amalgamare FdI, Lega e FI, così come lo è quella di centrosinistra per l’evidente travaglio del rapporto fra Pd e M5S.
La prima questione che si pone è che il centro che si colloca fra i due campi non è del tutto da inventare, perché esiste pur nella attuale balcanizzazione del panorama parlamentare tanto che si è manifestato incidendo in maniera rilevante nello scontro quirinalizio fra quelle che avrebbero dovuto essere due componenti bipolari che tali non hanno saputo essere. Ovviamente tutti sanno che quell’area al momento è tanto indefinita quanto frammentata, formata com’è da raggruppamenti che si sono formati intorno a delle leadership personali, per non dire della sua plausibile presenza anche all’interno di formazioni che fanno parte di ciascuno dei due campi.

Se rimane la frammentazione, non ci saranno ovviamente speranze che il centro prenda consistenza e soggettività, certamente non con un sistema elettorale di tipo sostanzialmente maggioritario come l’attuale, ma neppure con uno nuovo di tipo proporzionale che non è pensabile e non sarebbe neppure prudente immaginare privo di una credibile soglia di sbarramento.Dunque se si ritiene opportuno, secondo non pochi necessario, che per equilibrare l’attuale sistema intervenga la presenza di una nuova forza politica centrista è necessario sia trovare una ragione che favorisca il superamento della attuale dispersione tanto dei partitini quanto degli elettori (che non sono solo quelli che li votano, ma si trovano anche fra quelli che si astengono), sia individuare un “federatore” che si assuma il compito di guidare questo processo.

Il tutto nel quadro di un ritorno a un partito che non sia “personale”, ma che dia spazio alla rappresentanza di una dialettica di posizioni libere di confrontarsi e di elaborare insieme, in trasparenza e democrazia interna, una linea.

La ragione di una scelta che per convenzione si definisce di centro non è difficile da individuare: è la domanda di una politica che guardi alla salvaguardia del concreto equilibrio di convivenza solidale nella nostra comunità nazionale sottraendosi alla suggestione che le soluzioni ai nostri numerosi problemi si trovi tanto nell’ideologizzarli quanto nel ridurli a formule buone per demagogie più o meno spicciole. Cioè nel proporre l’uscita da una stagione, ormai piuttosto lunga e che ha dato frutti amari, in cui entrambe quelle retoriche sono state ampiamente sfruttate, anzi addirittura personificate in leader e componenti politiche.
Il problema del federatore si pone da sé. In una fase della politica che, piaccia o meno, è sotto il segno della personalizzazione delle proposte, chiaramente delle due l’una: o uno dei capi delle forze frammentate è in grado di farsi riconoscere come il punto di confluenza di tutti, o si fa ricorso al papa straniero. La prima alternativa non pare proprio percorribile essendo nel contesto attuale del tutto improbabile che un capo venga da tutti gli altri riconosciuto tranquillamente come “il migliore”. La seconda alternativa è invece plausibile, sia perché in quel caso nessuno dovrà riconoscersi inferiore a qualcun altro, sia perché colui che arriva dall’esterno è fatto capo per la volontà concorrente degli attuali vertici delle forze che accettano di fondersi. Così si dà vita ad una nuova formazione dove c’è spazio per una pluralità di presenze di rilievo, come peraltro è stato in tutti i grandi partiti della nostra prima repubblica, Dc, Psi, lo stesso Pci, nessuno dei quali è stato davvero un partito personale (qualche liturgia in quella direzione ha fatto parte dello spettacolo pubblico, mai della sostanza).

Certo il tema è poi quello di chi potrebbe essere il papa straniero di questa rinascita di una rilevante forza centrista. Basterà con realismo guardare a quello che è presente sulla nostra scena pubblica, ad iniziare da quanto ha evidenziato la vicenda delle elezioni quirinalizie, avendo sempre riguardo a favorire il ritorno in campo di un partito che, abbandonate le follie di personalismi e populismi, ritorni a fare politica per contribuire alla crescita del nostro paese e della sua società. Sarebbe un bel ritorno ad un sano pluralismo polarizzato.

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