Sul pianeta della giustizia italiana stanno per atterrare nei prossimi anni 16.500 laureati. Al di là della difficoltà nella selezione e nella formazione di questo esercito di persone, sorgono immediatamente alcune domande. Tutti giuristi? Tutti a fare gli assistenti dei circa novemila magistrati italiani? Tutti in funzione di line o anche gruppi in funzione di staff trasversale?
Previa la necessità di una doverosa verifica delle compatibilità con le condizionalità europee, si può provare ad ipotizzare qualche soluzione innovativa di utilizzo di questo personale, partendo dalle novità dirompenti di questi ultimi anni, vale a dire dal clamoroso impatto sulle nostre vite dell’intelligenza artificiale.
L’incidenza di questo strumento è aumentata in ragione di tre nuovi fattori: l’incremento vertiginoso di dati che possono essere immessi o trovati in rete; l’aumento spropositato della velocità di elaborazione; infine, la sempre più significativa capacità delle macchine di IA (intelligenza artificiale) di lavorare secondo meccanismi di autoapprendimento. Anche nel settore della giustizia si discute sempre più animatamente di affidare almeno una parte del nostro sistema alla decisione robotica, che garantirebbe un alto tasso di prevedibilità.
Si tratta di una prospettiva che ci affascina, ma che nel contempo ci spaventa. Possiamo far decidere i casi ad una macchina? E chi seleziona i dati, che costituiranno la base della sua decisione e il presupposto dei suoi meccanismi di autoapprendimento? C’è un modo per controllare l’algoritmo che governa il processo logico della decisione?
Eppure, senza intraprendere la strada della diretta decisione robotica, alla quale ostano principi costituzionali in tema di imputabilità soggettiva della decisione e della responsabilità da essa derivante, qualcosa potremmo iniziare a fare.
Per definire cosa potrebbe fare l’IA nel pianeta giustizia, è necessario introdurre nella valutazione e nella costruzione degli strumenti alcune variabili: a) serialità delle cause (decreti ingiuntivi, sfratti, incidenti stradali, sanzioni amministrative, gran parte dell’enorme contenzioso tributario, ecc.); b) area della mediazione obbligatoria (in parte sovrapponibile alla prima); c) presenza di valutazioni fortemente tecniche (ad esempio attribuzione di paternità e test del Dna; valutazioni relative all’andamento di un settore economico ovvero stime circa i valori di mercato); d) grado di giudizio in cui ci si trova (primo grado, appello, cassazione, rinvio, mezzi straordinari); e) complicazione della causa ormai giunta al vertice dell’ordinamento (si tratta di una valutazione delicata, ma è ormai una verifica che, attraverso diversificati sistemi di filtro, è tipica di qualsiasi moderno sistema di giustizia).
Nei casi in cui la serialità è forte, il ruolo dell’IA può essere importante, fornendo la vera e propria base decisionale al giudicante, che potrebbe limitarsi a verificare il percorso logico, assumendo la responsabilità della decisione.
Si potrebbe allora assumere un numero adeguato di figure tecniche (ingegneri, fisici, informatici) e far loro costruire, sotto la guida di un comitato scientifico, uno o più data lake, con parametri adeguati alle diverse funzioni, basati su algoritmi di lettura rispettosi di canoni di trasparenza e dei principi costituzionali. Partirebbe così una prudente, ma significativa, sperimentazione, guidata da principi di imparzialità e laicità, prima ancora che di efficienza, sotto il rigoroso controllo pubblico, coinvolgendo il grande patrimonio di conoscenze tecniche delle Università.
L’utilizzo massiccio dell’IA già sta avvenendo ampiamente nella prassi di molte amministrazioni pubbliche e di grandi soggetti privati: se la giustizia non si adegua e non si mette al passo con i tempi, a breve diventerà insostenibile il distacco tra le grandi amministrazioni pubbliche e private e una giustizia che si muove ancora secondo logiche arretrate.