Alberto Brambilla
Alberto Brambilla

Norme in eccesso/ Instabilità e burocrazia, doppio freno per la ripresa

di Alberto Brambilla
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Venerdì 25 Giugno 2021, 00:04

Fra i tanti problemi che affliggono il nostro Paese e ne costituiscono un limite allo sviluppo e alla crescita, vale la pena affrontarne sinteticamente almeno tre che se irrisolti rallenteranno le semplificazioni e dunque la realizzazione dei progetti del Pnrr, “l’ultima chiamata” per il nostro Paese. Eccoli: 1) l’instabilità politica causata dalle leggi elettorali e dal perenne stato di campagna elettorale che blocca la progettualità del Paese e lo relega all’immobilismo; 2) la bizantina, complessa ed elefantiaca macchina amministrativa, con troppi centri decisionali che complicano lo sviluppo delle attività produttive; 3) le troppe leggi, regolamenti, ordinamenti comunali, provinciali, regionali e statali ai quali oggi si affianca anche una robusta normativa europea, che assieme ai troppi centri decisionali, rischiano di paralizzare il Paese.


Il primo punto. Da febbraio 2013 a gennaio 2020 (sette anni) nel nostro Paese si sono svolte ben 22 tornate elettorali tra europee (2), politiche (2) e amministrative (18), cioè 3,14 campagne elettorali ogni anno (5 nel 2013 e 2018, 4 nel 2019, 3 nel 2014, 2 nel 2017 e 1 nel 2015/16) che hanno riguardato 218 amministrazioni centrali e periferiche, con esclusione dei Comuni che nel periodo sono stati ben 12.875. In pratica, salvo il 2015 e 2016, ogni anno siamo stati sottoposti a 7 mesi medi di campagna elettorale e di discussione postelettorale, senza farci mancare nulla perché nello stesso periodo si sono avvicendati ben 5 governi (Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conti 2), non poco! Quindi 7 anni di campagne elettorali a colpi di scontri e promesse, sicché la spesa sociale è passata da 92,7 miliardi del 2013 a oltre 114 miliardi nel 2019 cui si devono sommare altri 20 miliardi per gli interventi degli enti locali per l’assistenza e la casa con un incremento medio annuo del 4,3% di gran lunga superiore all’inflazione e al Pil. Tuttavia, nonostante questa gran quantità di risorse messe in circolo la povertà, dice l’Istat, è raddoppiata e pure la “volatilità elettorale” che si è mangiata in meno di quattro anni gran parte del Pd (aveva il 40%), in 18 mesi del M5S (aveva il 34%), pressoché dimenticate le “sardine”, persino la Lega (37%) ha bruciato una parte rilevate dei consensi.
Il secondo problema è l’eccessiva l’inanità delle amministrazioni territoriali che producono molti problemi burocratici, e quindi economici, al sistema produttivo, limitandone le potenzialità di crescita. In Italia ci sono 7.914 Comuni, 107 Province (di cui 10 Città metropolitane), 19 Regioni e due Province autonome (Trento e Bolzano); tra le Regioni ce ne sono 4 a statuto speciale: Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia, ma nessuno capisce più il senso di ciò. E poi ci sono le 148 Comunità montane che si dovevano abolire nel 2012. In totale i centri dotati di poteri amministrativi, escludendo i parchi, sono 8.190 che diventano 8.386 includendo Asl e Ao. Ma i centri di acquisto sono ancor di più.


Ogni Comune ha un suo regolamento e norme specifiche che molto spesso sono diverse tra entità comunali confinanti nelle materie edilizia, urbanistica, trasporti eccetera, creando problemi di viabilità e produttivi per coloro che operano in più comuni; lo stesso vale per le regioni che hanno regole assai differenti in moltissimi campi e nella sanità con 97 Asl, Aoa, Irccs, Ats eccetera. Ci sono 1.560 comuni con meno di 800 abitanti (20%), altri 1.286 comuni tra 801 e 1.500 abitanti (16%); altri 2.726 tra 1.501 e 5.000 (un altro 34%). Considerando che per ottenere un minimo di efficienza e di offerta di servizi alla popolazione occorrerebbero tra 10 e 15 mila abitanti, solo 1.228, cioè il 15%, hanno questa dimensione. Con questa selva di amministrazioni e con tutte le aziende partecipate, sarà difficile sveltire le procedure ma soprattutto disporre delle giuste competenze; la soluzione potrebbe essere di lasciare nominalmente i comuni come sportelli decentrati ma accentrare nelle province, che non dovrebbero essere più di 60, tutte le attività comprese le comunità montane e i parchi, i servizi consortili (smaltimento rifiuti, piani regolatori, scuole, strade e infrastrutture).
Quanto alle regioni, che senso ha avere la Valle d’Aosta (126.202 abitanti), il Molise (308.493), la Basilicata (567.118), l’Umbria (879.337), il Trentino-Alto Adige (1.074524)? Regioni tanto piccole da diventare spesso inefficienti e costose, senza un reale piano di sviluppo e molto spesso approdo della maggior parte dell’occupazione locale; potrebbero assumere il ruolo di province rendendo la Regione un ente intermedio di coordinamento con massimo 11 realtà regionali.


Il terzo problema è legato alla montagna di leggi di cui nessuno sa con esattezza il numero; si dice, spulciando gli atti del Poligrafico dello Stato, che dall’Unità d’Italia a oggi siano 187.000 di cui ancora molti regi decreti, decreti luogotenenziali e 21 atti firmati da Mussolini.

Ci sono poi le leggi e le normative regionali e i regolamenti provinciali e comunali; fossero solo 20 per comune (ma saranno sicuramente molti di più) avremmo altre 170 mila norme. Una follia che costa ai cittadini, ma soprattutto agli imprenditori tante giornate perse per inseguire il “terrore della firma” della nostra burocrazia. Si potrebbero modificare i regolamenti parlamentari imponendo alle diverse Commissioni di Camera e Senato di esaminare, ognuna per le sue competenze, tutte le leggi, eliminando i doppioni e quelle con più di 25 anni e farne testi unici; lo stesso dovrebbero fare le “nuove province”. Per il lavoro, ad esempio, si passerebbe da oltre 1.500 pagine a meno di un centinaio, diminuendo il contenzioso nei tribunali in modo esponenziale, favorendo le assunzioni e rendendo più semplice fare impresa, con un guadagno per imprese, lavoratori e produttività: quanto Pil in più con le metà delle leggi indicate. Perché non provarci? Dipende da tutti, non solo dal governo, la rinascita del Paese e il successo del Pnrr.


*Presidente Itinerari Previdenziali

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