Fra i tanti problemi che affliggono il nostro Paese e ne costituiscono un limite allo sviluppo e alla crescita, vale la pena affrontarne sinteticamente almeno tre che se irrisolti rallenteranno le semplificazioni e dunque la realizzazione dei progetti del Pnrr, “l’ultima chiamata” per il nostro Paese. Eccoli: 1) l’instabilità politica causata dalle leggi elettorali e dal perenne stato di campagna elettorale che blocca la progettualità del Paese e lo relega all’immobilismo; 2) la bizantina, complessa ed elefantiaca macchina amministrativa, con troppi centri decisionali che complicano lo sviluppo delle attività produttive; 3) le troppe leggi, regolamenti, ordinamenti comunali, provinciali, regionali e statali ai quali oggi si affianca anche una robusta normativa europea, che assieme ai troppi centri decisionali, rischiano di paralizzare il Paese.
Il primo punto. Da febbraio 2013 a gennaio 2020 (sette anni) nel nostro Paese si sono svolte ben 22 tornate elettorali tra europee (2), politiche (2) e amministrative (18), cioè 3,14 campagne elettorali ogni anno (5 nel 2013 e 2018, 4 nel 2019, 3 nel 2014, 2 nel 2017 e 1 nel 2015/16) che hanno riguardato 218 amministrazioni centrali e periferiche, con esclusione dei Comuni che nel periodo sono stati ben 12.875. In pratica, salvo il 2015 e 2016, ogni anno siamo stati sottoposti a 7 mesi medi di campagna elettorale e di discussione postelettorale, senza farci mancare nulla perché nello stesso periodo si sono avvicendati ben 5 governi (Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conti 2), non poco! Quindi 7 anni di campagne elettorali a colpi di scontri e promesse, sicché la spesa sociale è passata da 92,7 miliardi del 2013 a oltre 114 miliardi nel 2019 cui si devono sommare altri 20 miliardi per gli interventi degli enti locali per l’assistenza e la casa con un incremento medio annuo del 4,3% di gran lunga superiore all’inflazione e al Pil. Tuttavia, nonostante questa gran quantità di risorse messe in circolo la povertà, dice l’Istat, è raddoppiata e pure la “volatilità elettorale” che si è mangiata in meno di quattro anni gran parte del Pd (aveva il 40%), in 18 mesi del M5S (aveva il 34%), pressoché dimenticate le “sardine”, persino la Lega (37%) ha bruciato una parte rilevate dei consensi.
Il secondo problema è l’eccessiva l’inanità delle amministrazioni territoriali che producono molti problemi burocratici, e quindi economici, al sistema produttivo, limitandone le potenzialità di crescita. In Italia ci sono 7.914 Comuni, 107 Province (di cui 10 Città metropolitane), 19 Regioni e due Province autonome (Trento e Bolzano); tra le Regioni ce ne sono 4 a statuto speciale: Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia, ma nessuno capisce più il senso di ciò. E poi ci sono le 148 Comunità montane che si dovevano abolire nel 2012. In totale i centri dotati di poteri amministrativi, escludendo i parchi, sono 8.190 che diventano 8.386 includendo Asl e Ao. Ma i centri di acquisto sono ancor di più.
Ogni Comune ha un suo regolamento e norme specifiche che molto spesso sono diverse tra entità comunali confinanti nelle materie edilizia, urbanistica, trasporti eccetera, creando problemi di viabilità e produttivi per coloro che operano in più comuni; lo stesso vale per le regioni che hanno regole assai differenti in moltissimi campi e nella sanità con 97 Asl, Aoa, Irccs, Ats eccetera. Ci sono 1.560 comuni con meno di 800 abitanti (20%), altri 1.286 comuni tra 801 e 1.500 abitanti (16%); altri 2.726 tra 1.501 e 5.000 (un altro 34%). Considerando che per ottenere un minimo di efficienza e di offerta di servizi alla popolazione occorrerebbero tra 10 e 15 mila abitanti, solo 1.228, cioè il 15%, hanno questa dimensione. Con questa selva di amministrazioni e con tutte le aziende partecipate, sarà difficile sveltire le procedure ma soprattutto disporre delle giuste competenze; la soluzione potrebbe essere di lasciare nominalmente i comuni come sportelli decentrati ma accentrare nelle province, che non dovrebbero essere più di 60, tutte le attività comprese le comunità montane e i parchi, i servizi consortili (smaltimento rifiuti, piani regolatori, scuole, strade e infrastrutture).
Quanto alle regioni, che senso ha avere la Valle d’Aosta (126.202 abitanti), il Molise (308.493), la Basilicata (567.118), l’Umbria (879.337), il Trentino-Alto Adige (1.074524)? Regioni tanto piccole da diventare spesso inefficienti e costose, senza un reale piano di sviluppo e molto spesso approdo della maggior parte dell’occupazione locale; potrebbero assumere il ruolo di province rendendo la Regione un ente intermedio di coordinamento con massimo 11 realtà regionali.
Il terzo problema è legato alla montagna di leggi di cui nessuno sa con esattezza il numero; si dice, spulciando gli atti del Poligrafico dello Stato, che dall’Unità d’Italia a oggi siano 187.000 di cui ancora molti regi decreti, decreti luogotenenziali e 21 atti firmati da Mussolini.
*Presidente Itinerari Previdenziali