Alessandro Campi
Alessandro Campi

Nodo spoils system/ Le nomine di vertice e l'interesse del Paese

di Alessandro Campi
6 Minuti di Lettura
Lunedì 9 Gennaio 2023, 00:01

Spoils system, ovvero sistema delle spoglie. È una formula brutale che ci ricorda da dove veniamo noi uomini civilizzati: dalle caverne e dalle foreste. Dall’epoca nella quale le orde dei cacciatori al ritorno dalla battuta si dividevano le prede uccise (la parte più consistente toccava naturalmente al capobranco). Ma ricorda anche l’abitudine, durata millenni, dei vincitori in una guerra o battaglia a spartirsi i beni e le ricchezze sottratti agli sconfitti. La politica contemporanea, con l’avanzare della democrazia e della competizione tra partiti, ha ingentilito queste antiche pratiche. Si è stabilito che per accaparrarsi il bottino, fatto di incarichi pubblici e nomine ai vertici dello Stato, non più di animali selvatici, oro e opere d’arte, non serviva la violenza. Bastava sottoporsi pacificamente al vaglio degli elettori: chi vince alle urne, prende tutto quel che può. “To the victor belongs the spoils”, secondo il meccanismo impostosi per la prima volta negli Stati Uniti all’epoca della presidenza di Andrew Jackson (alla Casa Bianca per due mandati: 1829-1837). L’idea, da quel momento trasformatasi in regola, è che tocchi al detentore pro-tempore del potere politico, legittimato dal consenso popolare, scegliersi il personale burocratico e i funzionari statali secondo criteri di fedeltà personale e partitica.  Con questa nuova prassi, al di là dei modi un po’ troppo spicci, la giovane democrazia d’oltreoceano puntava in realtà ad ottenere due obiettivi in sé molto apprezzabili. Il primo era una minore corruzione nella sfera amministrativa grazie alla periodica alternanza, ad ogni cambio di presidenza, dei detentori di cariche.

Con la rotazione negli uffici nessuno avrebbe acquistato troppo potere, sino a considerarsi inamovibile.

Al tempo stesso, a un numero crescente di cittadini si sarebbe offerta la possibilità di partecipare alla vita pubblica con ruoli di responsabilità.

Il secondo era una maggiore efficienza nel funzionamento della macchina burocratica, costretta ad adeguarsi all’indirizzo politico voluto dal popolo sovrano e a realizzare senza alcuna discrezionalità la volontà del governante di turno. Il politico decide, il funzionario esegue: entrambi avendo di mira il bene collettivo.

Ma le cose non sono andate esattamente così. A un certo punto negli Stati Uniti ci si accorse che distribuire incarichi e poltrone ai propri sostenitori politici favoriva soltanto gli interessi di parte, incentivava il clientelismo e minava la qualità dei servizi indirizzati alla comunità. Si corse dunque ai ripari. Nel 1883, con l’approvazione del “Civil Service Reform Act”, le carriere amministrative vennero sottoposte ai princìpi del “merit system”. Per sottrarle all’arbitrio della politica, furono introdotti i concorsi pubblici, l’inamovibilità dagli uffici e le progressioni legate alla competenza. Mentre la gestione del personale pubblico fu affidata ad un’agenzia statale (che esiste ancora oggi e si chiama Office of Personnel Management). Lo spoils system originario venne sempre più circoscritto ma tutt’altro che abolito visto che il potere di nomina presidenziale in quella nazione è esplicitamente sancito dalla Costituzione: ancora oggi ad ogni inquilino della Casa Bianca spettano centinaia di nomine in ruoli burocratici apicali, ma con alcune precise limitazioni.

In molti casi le nomine debbono essere condivise dal Senato. Nel 1976 la Corte Suprema ha inoltre stabilito che «al vincitore appartengono solo quelle spoglie che possono essere ottenute costituzionalmente», il che significa che non si può rimuovere un pubblico funzionario per motivi politici o revocare dal proprio incarico chi opera in un’agenzia indipendente.

Rispetto all’esempio storico statunitense, lo spoils system all’italiana, per come attualmente funziona, è notoriamente un’altra cosa: più blando e meno pervasivo. Non prevede che il rapporto di lavoro di un funzionario statale coincida con la durata dell’organo politico che lo nomina. E si applica solo agli incarichi dirigenziali di vertice, quelli caratterizzati da un particolare grado di fiduciarietà e le cui funzioni sono contigue con gli indirizzi politico-amministrativi espressi dal governo.

È un sistema formalizzato organicamente per la prima volta con una legge nel 2002, nuovamente nel 2006, ed oggetto di diversi pronunciamenti della Consulta. La quale se da un lato ha modificato la legislazione e fissato precisi limiti a questa pratica (riguardo ad esempio al divieto di cessazione automatica degli incarichi dirigenziali al cambiare dei governi), dall’altro ne ha riconosciuto la piena legittimità costituzionale.

In particolare, con un importante pronunciamento del 2006, ha stabilito che lo spoils system può contribuire al buon andamento della macchina amministrativa, senza intaccarne l’indipendenza e la necessaria imparzialità, nella misura in cui esso rafforza la collaborazione e la coesione fra l’organo politico e i vertici della struttura burocratica.

 Ma ciò non è bastato, come si è visto in questi giorni, ad evitare polemiche politiche furibonde e campagne di stampa allarmistiche. L’accusa odierna della sinistra al governo Meloni è di aver iniziato una sistematica occupazione del potere che rischia, da un lato, di politicizzare la struttura pubblico-amministrativa piegandola a interessi di partito e, dall’altro, di indebolire la capacità operativa dello Stato italiano e dunque la sua credibilità sulla scena internazionale. Ma si tratta, detto con sincerità, di critiche che trasudano moralismo e ipocrisia, se è vero che lo spoils system ministeriale (ma lo stesso vale per le nomine governative ai vertici delle società pubbliche) diventa cattivo e poco democratico, guarda caso, solo quando lo praticano gli altri. I problemi, acclarata la liceità del meccanismo e la necessità funzionale di procedere a nomine politiche fiduciarie in alcune posizioni strategiche, sono semmai altri. Innanzitutto, i criteri di reclutamento e selezione allorché si decide di procedere allo spoil systems: la lealtà politica, certamente, purché abbinata ad una conclamata competenza tecnico-operativa, tenendo altresì conto del fatto che la dirigenza pubblico-ministeriale non è assimilabile, dal punto di vista operativo e delle finalità, al management privatistico-aziendale. Lo spoils system è sbagliato, per chi lo opera ma anche per la collettività, solo quando si scelgono le persone sbagliate e inadatte al ruolo.

C’è poi un problema di tempi, convenienze e opportunità. Il fatto che si possano cambiare per legge dei ruoli apicali non significa che lo si debba fare per forza, come semplice segnale di forza politica o per assecondare gli equilibri interni alla maggioranza del momento. Esiste anche il cambiamento nella continuità, purché si abbiano idee chiare su dove si vuole andare. La burocrazia, che per definizione è una struttura auto-conservativa, può essere un freno per l’azione politica. Ma spesso la politica se la prende con gli apparati amministrativi per nascondere la propria mancanza di obiettivi e di strategie coerenti, ovvero le proprie divisioni interne. Ciò detto, in politica, come nella vita, tutto consiste nel trovare l’equilibrio giusto. Nel caso dello spoils system si tratta di contemperare in modo pragmatico due esigenze: da un lato, la necessità per il governo (qualunque governo) di disporre di un ceto dirigente burocratico in grado di tradurre gli indirizzi politici ricevuti in atti gestionali e amministrativi concreti e puntuali; dall’altro, evitare che la fidelizzazione politica della dirigenza pubblica finisca per compromettere l’imparzialità dell’azione ammnistrativa che è un interesse primario di tutti i cittadini. Non è facile, ma non è impossibile.

L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni farà, legittimamente, quel che hanno fatto tutti i precedenti governi. Farlo bene o male dipende solo dalle scelte che verranno concretamente realizzate. Tutto il resto sono soltanto le lamentele di chi, per volontà degli elettori, è dovuto scendere dalla giostra del potere per almeno un giro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA