Mario Ajello
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Boom di ascolti/ Il picco di Mattarella in questo Paese che cerca sicurezze

di Mario Ajello
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Sabato 2 Gennaio 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:13

Il popolo è una «moltitudine» che, se non viene guidata da rappresentanti credibili e lungimiranti, finisce per sbandare. Lo dice Niccolò Machiavelli nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. E proprio l’assenza di questo tipo di classe dirigente, e il bisogno di averla, è ciò che ha spinto quasi 15 milioni e mezzo di italiani a seguire e a riconoscersi nel discorso del presidente Mattarella l’altra sera. Che è stato un raro esempio di rappresentazione della credibilità politica e istituzionale di cui i cittadini sentono la necessità e l’urgenza. Specialmente in questa fase assai dura per tutti.


E così un messaggio presidenziale di fine d’anno in tivvù mai - o almeno da quando è entrata in funzione l’Auditel nel 1986 - ha toccato la cifra record del 64,95 per cento di share, 5 milioni di spettatori in più del 2019, come è accaduto adesso. Soltanto una volta gli ascolti hanno superato, ma di pochissimo, la quota dei 15 milioni: con Scalfaro nel ‘93, l’anno di Tangentopoli. Mentre perfino Cossiga, «picconatore» e iper-comunicatore, si dovette fermare al massimo a 14 milioni e 825mila. 


Si dirà. L’exploit mattarelliano si deve al fatto che eravamo tutti chiusi in casa nell’Italia in zona rossa più coprifuoco e solo i teleschermi, a parte qualche parente contingentato, a farci compagnia. Ma non c’è soltanto questo. C’è soprattutto il fatto che ci si è rivolti a Mattarella in cerca di sicurezza. Ci si è aggrappati a lui come a un timoniere saggio, l’unico ormai - nella politica disastrata e disastrosa in deficit di «costruttori» per usare l’espressione presidenziale - capace di infondere quella fiducia che i partiti non sono capaci di dare e di indicare una rotta in questo mare in tempesta. Agitato dal bla bla negazionista o da inascoltabili obiezioni di coscienza sui vaccini, da inconcludenti astruserie di Palazzo e da litigi politichesi e politicanti incomprensibili ai più e a cui Mattarella ha rivolto soltanto una notazione sferzante, dimostrando in questo una sintonia vera con gli umori del Paese che non è quello della verifica e del rimpasto. Ma, appunto, del bisogno di affidabilità. 


E il presidente ha spiegato con asciuttezza anti-retorica, parlando dritto in piedi a sottolineare che mentre crollano molte certezze certi pilastri non deflettono, che ci si può fidare della serietà, della scienza, dell’Europa, della solidarietà.

Gli italiani avevano bisogno di una strigliata (nessuna concessione al vittimismo e al fatalismo da parte del presidente), di un orizzonte (la ripartenza) e di un metodo con cui approcciarlo (quello della «concretezza», dell’«efficacia» delle politiche e del «rigore» delle scelte) e questo hanno avuto. Tributando al Colle quell’ammirazione che trasuda da tutti i discorsi familiari del dopo Capodanno e che riempie, al netto degli odiatori e dei pazzi, i social. Al punto che neppure i leader più distanti dalla cultura e dallo stile di Mattarella hanno il coraggio di non sottoscrivere in queste ore le sue parole e anzi le celebrano con enfasi addirittura ridicola. 


Il boom televisivo di Mattarella segnala insomma la reattività di un Paese spaesato e insieme dotato dell’energia per andare avanti. Purché questa abbia un corrispettivo a livello istituzionale su cui fare conto. Perché non c’è tanto bisogno di essere accarezzati nel dolore - Mattarella lo ha fatto, ma in modica quantità come è nella sua natura - quanto di venire accompagnati con lungimiranza e senza spreco di energie fuori dal tunnel. L’Etat c’est moi, diceva il Re Sole. Lo Stato siamo noi, ha detto molto più sommessamente Mattarella: e sentirselo dire è importante. Estraneità alle scelte e passività nell’accettarle sono ciò che non serve, da parte dei cittadini, in un momento così. E’ necessario viceversa coinvolgimento e partecipazione per ricostruire. Questo sforzo motivazionale viene dal Colle e merita - come probabilmente sarà, e la ricostruzione post-bellica con tutte le sue ovvie differenze con l’oggi ha dimostrato di che pasta sono fatti gli italiani - di essere raccolto e messo in pratica. 
Risultare solenne e pop non è facile. Ma è questo che sta alla base del successo, via via crescente, del discorso mattarelliano. Che ha avuto, in quel passaggio in cui dice «questo è il mio ultimo anno da presidente della Repubblica», l’effetto di far capire a tutti che non è attaccato alla poltrona e che nel suo caso la politica non coincide con il potere.

Argomentazione a dir poco ben accolta dall’uditorio televisivo nelle famiglie. Le quali vogliono risposte. La prima l’hanno data loro, scegliendo di ascoltare Mattarella e di aggrapparsi al metodo Quirinale come speranza, forse, più consistente delle altre.

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