Mario Ajello
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Scaricabarile Nord/ Il federalismo messo da parte per non avere responsabilità

di Mario Ajello
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Lunedì 2 Novembre 2020, 00:15

Ieri sì, oggi no e domani vediamo se mi conviene: ecco il federalismo a la carte. E non è una cosa seria. Contiene tutte le contraddizioni e le storture dell’autonomia alla nordista, di cui l’Italia si è dovuta fare carico in questi anni e che è stata costretta a patire ancora di più da quando è cominciata l’emergenza Covid. Adesso siamo al paradosso o alla beffa quando invece servirebbe estrema responsabilità e nessuna ambiguità.

I cosiddetti governatori, che fino all’altro giorno non facevano altro che gridare “Dateci autonomia”, “Non ci avete coinvolto”, “Non ascoltate i territori”, adesso recitano la litania opposta. Quella del faccia lo Stato, decidano gli altri, e insomma: caricarci noi dell’onore dei lockdown, e perché mai? Agire direttamente con il rischio di diventare impopolari? Non siamo mica matti! Basta ascoltare in queste ore gli alti lai di Fontana dalla Lombardia e di Bonaccini che oltre guidare l’Emilia Romagna presiede la Conferenza delle Regioni. Non erano autonomisti? Ebbene, si sono riscoperti improvvisamente centralisti. E così a ruota anche altri loro colleghi. Al mio territorio ci penso io, proclamavano. Al mio territorio ci pensi tu, dicono ora. Per non sgualcire la propria immagine a causa di chiusure settoriali o regionali in arrivo. Per non intestarsi decisioni scomode. Per evitare le rabbie dei cittadini che, semmai, vanno affrontate a viso aperto. 

Sembra prevalere nel federalismo a la carte, quello del fate voi e io mi sposto per poi darvi la colpa, una concezione del Paese in cui spera di vincere il più furbo, anche rinnegando la passata propaganda iper-regionalista per sposarne un’altra di comodo. Quella di Fontana che per non chiudere la Lombardia, ancora una volta il centro del contagio, pretende che venga chiusa l’Italia intera a prescindere dai parametri Rt. Ma come? Il federalismo e l’autonomia tanto sbandierati non si basavano sul rifiuto dell’uniformità nazionale? Non si fondavano sulla differenziazione? Sì, fin quando queste retoriche convenivano.

Ma se non giovano più, gli iper-regionalisti si fanno romanocentrici. 

Siamo nel caso lombardo - visto che il Veneto è un’altra cosa - al solito egoismo di quelle contrade, per cui le proprie debolezze vanno scaricate sul resto dei cittadini italiani. E qui tornano alla mente le parole pre-Covid ma tuttora capaci di far riflettere che pronunciò il ministro del Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, a proposito dell’egoismo di Milano: «Oggi questa città attrae ma non restituisce più nulla di quello che con l’aiuto di tutti produce». Insomma non dà niente all’Italia di ciò che l’Italia le dà. E per di più, in questa occasione, quel governo regionale si fa scudo del governo centrale perché è meglio così. 

I cosiddetti governatori o molti di loro si beavano di essere diventati il soggetto principale, insieme a Palazzo Chigi e assai più dei partiti e dei loro leader di fatto oscurati, ma nel momento cruciale delle scelte irrevocabili si nascondono. Non contenti, tra l’altro, di aver sperperato questi mesi tra la prima e la seconda ondata. Lasciando per esempio i ventilatori dei reparti Covid negli scantinati e non dando prova di efficienza - eccola l’autonomia! - nella riorganizzazione della sanità, dove la sciagurata riforma del titolo V della Costituzione, voluta dal centrosinistra nel 2001, per inseguire la Lega, concede loro assoluta potestà.

Giuseppe Montanelli, scrittore e combattente che morì nel 1862 dopo aver partecipato al Risorgimento, ammonì: «Stiamo attenti a non cadere nel federalismo. Questo pericolo si eviterà avendo la metropoli della nazione in Roma. Colà dev’essere il capo d’Italia». Appunto. Il centro non può che essere più centro, e più forte, più deciso, più coeso. Come purtroppo non pare esserlo, tra le fragilità, le divisioni e gli sbandamenti del governo, in questo frangente. E così si favoriscono manovre e manfrine non all’altezza del dramma in corso.
 

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