Oggi, con la riapertura delle contrattazioni, si riprenderà a seguire l’andamento degli spread Btp-Bund, con il titolo italiano, decennale, che venerdì quotava 4,78 per cento.
È fuor di luogo, però, l’allarmismo con i differenziali intorno ai 200 punti base - un livello ben governabile - ma anche per dover considerare la significatività di questo dato sia perché, come sottolinea Antonio Patuelli (presidente Abi), anche il rendimento dei Bund tedeschi è in crescita, sia perché il fenomeno è diffuso a livello internazionale.
Ciò, però, non significa sottovalutare l’esigenza di un attento monitoraggio in una situazione che, comunque, lo stesso ministro Giancarlo Giorgetti definisce delicata e bisognosa di scelte difficili. Un “estote parati” non deve significare l’imminenza di turbolenze o, peggio, di una crisi finanziaria, ma deve essere una giusta, serena precauzione.
Carlo Azeglio Ciampi, anche quando era Presidente della Repubblica, aveva costantemente in tasca un foglietto nel quale erano riportati i differenziali Btp-Bund aggiornati, necessari per le sue riflessioni e per l’azione di “moral suasion”, in una diversa fase, comunque, della vita del Paese. Non siamo all’impennata degli spread del 2011, con oltre 550 punti base e tantomeno a quelli poco ricordati della metà degli anni Novanta quando arrivarono a un livello tra gli 800 e i 900 punti base, riportati in un tempo non lungo verso i 200 punti dalla politica monetaria della Banca d’Italia: allora pochi se ne accorsero, molti non conoscevano neppure gli spread, nulla di drammatico avvenne nella convinzione della solidità dell’agire dell’Istituto centrale. Un caso storico che Madame Christine Lagarde dovrebbe studiare. Durante il Governo Draghi superarono, in alcuni momenti, nettamente i 200 punti.
Ma basta il mero monitoraggio in un contesto sul quale incombe pur sempre la minaccia di una recessione? No. Si richiedono, soprattutto, certezze nella proposta della legge di bilancio che, come ha detto il sottosegretario Federico Freni, non deve contenere una manovra “minestrone” o, si aggiunge qui, “mille rivoli”, nonché una comunicazione istituzionale imperniata su di una “single voice”, su di un parlare strettamente unitario da parte dell’Esecutivo.
Poi, però, deve esservi consapevolezza che sulla manovra pesano due macigni: la sorte del Patto di stabilità e la politica monetaria pervicacemente restrittiva della Bce che non ha trovato ancora un doveroso bilanciamento tra il necessario contrasto dell’inflazione e, almeno, il non danneggiamento della crescita: il “tacco e punta”, insomma, di cui parlava Guido Carli che conosceva e praticava in maniera straordinaria l’arte del banchiere centrale.
Una eventuale reviviscenza del Patto di stabilità nella struttura fin qui sospesa sarebbe un danno enorme.
Di qui l’importanza dei segnali da dare per il debito e per la spesa, nonché su produttività, investimenti, sanità, lavoro, e sostegno ai ceti bisognosi. Le riforme strutturali e l’attuazione del Pnrr svolgono un ruolo cruciale. Segnali anche solo prospettici sulla riduzione del debito sono importanti.
In questo quadro, non è tuttavia opportuno fissare asticelle, superate le quali il Governo interverrebbe verosimilmente con misure straordinarie, dati i rischi di un distorto effetto-annuncio. Inoltre, non va dimenticato, anche se si tratta di un “farmaco” a cui non vorremmo mai ricorrere, lo “scudo Bce” nell’assorbimento dei titoli, il “Transmission protection instrument” pur con una condizionalità non del tutto adeguata.
Una manovra seria, responsabile, che omaggi il rigore e non il rigorismo e che sia ben comunicata dando convincenti segnali di stabilità è la via migliore non solo per prevenire il rischio-spread, ma anche per disinnescare i connessi vaniloqui sul Governo tecnico.
Una ipotesi che, se mai si verificasse, tornerebbe ad annullare la dialettica costituzionale fondamentale per la democrazia, con danno per maggioranza e opposizione.
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